Leggere in questi giorni Avvenire; cercare di interpretare i comunicati delle grandi associazioni del laicato cattolico, esaminare i documenti elaborati dai vescovi diocesani o dalle Conferenze episcopali regionali e compulsare la stampa diocesana rafforza l’idea che in questa tornata elettorale la Chiesa stia alla finestra, ancora incerta sul vento che soffierà nel Paese e sulla corrente da seguire. Perché se è (quasi) certo che la destra non vincerà, è assolutamente incerto che il centrosinistra possa farcela.
I numeri alla Camera, quelli, non dovrebbero mancare, in virtù di una legge elettorale, il Porcellum, che assegna il 55% dei seggi al partito o alla coalizione che ha preso più voti. Che il PdL e la Lega (più “cespugli”) ce la facciano a colmare il distacco di 8-10 punti percentuali che li dividono da Pd-Sel e Socialisti è impensabile. Ma al Senato, il premio di maggioranza assegnato su base regionale rende probabile una situazione di stallo. Con rapporti di forza e alleanze ancora tutte da costruire. E se la gerarchia ecclesiastica certamente non gioisce all’idea di un governo di centrosinistra (che pure sarebbe guidato da un leader non certo ostile alle istituzioni ecclesiastiche e composto da persone di provata “fiducia” dell’establishment economico-finanziario così come di quello ecclesiale), certamente non fa il tifo apertamente né per Monti né per Berlusconi.
Il primo, infatti, resta al palo nei sondaggi (attorno al 10%, ancor meno di quando aveva annunciato la sua “salita” in politica); non ha preso una posizione chiara sui valori non negoziabili ed ha all’interno delle sue liste elettorali poco altro rispetto a candidati espressione soprattutto delle professioni e con un côté piuttosto aristocratico, poco compatibile con il tradizionale interclassismo cattolico. Sostenere Monti, peraltro alleato di Fini, un tempo pupillo del card. Ruini, ma oggi piuttosto inviso alle gerarchie per colpa del suo eccessivo “laicismo”, significherebbe inoltre votarsi ad una posizione minoritaria cui la Chiesa non è stata mai abituata, men che meno nell’epoca dello strapotere ruiniano.
Ma anche sostenere Berlusconi, dopo averlo scaricato abbastanza clamorosamente poco più di un anno fa non pare strada facilmente praticabile, anche per il discredito internazionale che il cavaliere si porta dietro come una dote; e che se al diretto interessato, totalmente assorbito dalle dinamiche interne, non sembra per ora fare problema; lo è certo assai di più per una istituzione a vocazione universale e attenta agli equilibri internazionali come la Chiesa.
Avvenire: tutti votabili
L’incertezza del momento rende così anche le tante “voci” della Chiesa italiana più polifoniche rispetto al tradizionale tono monocorde, alternato al megafono, che di solito accompagna, da parte ecclesiastica, il periodo della campagna elettorale.
Capita così che Avvenire (24/1), per la prima volta presenti uno per uno i candidati cattolici in lista nei diversi schieramenti, a segnalare come stavolta la Chiesa non abbia riferimenti unici e lasci ai suoi libertà di coscienza. E che, sotto il titolo “Scelte e silenzi coalizioni divise”, lo stesso quotidiano (30/1) si trovi a “misurare” i programmi degli schieramenti elettorali col “metro” dei valori cristiani della difesa e promozione della persona umana. Con la non piccola sorpresa che per il giornale della presidenza della Cei il risultato della ricognizione sia generalmente e trasversalmente negativo. «Un concerto di voci spesso discordanti dentro il medesimo schieramento. Sulle politiche per la difesa e la promozione della vita umana, che dovrebbero costituire un punto di convergenza basilare, si consuma invece un contrasto a volte eclatante all’interno dei tre principali schieramenti, da destra a sinistra», scrive il quotidiano della Cei.
Conferenze episcopali regionali: votate tutti
Se si passa poi ai documenti delle Conferenze episcopali regionali la confusione aumenta. Quello della Conferenza episcopale del Piemonte, presieduta da mons. Cesare Nosiglia, rileva che «nella crisi pesante di oggi, non ci si può chiamare fuori, occorre “mettercela tutta”», perché «nella società provata su vari fronti, occorre che ognuno faccia la sua parte, condividendo e non escludendo». Invita poi a respingere la tentazione dell’astensione: «Assumiamoci con responsabilità – è il monito – il dovere di dare il nostro contributo. Tenendo presente anche la necessità di scelte personali e collettive coerenti con uno stile più sobrio e solidale di vita». I vescovi piemontesi richiamano a «un bisogno forte e urgente: riannodare tutti i fili del dialogo tra le generazioni, nelle relazioni educative, tra le istituzioni e le famiglie, con i giovani, gli anziani, chi è ammalato, con gli immigrati». Quanto poi ai principi a cui ispirare la propria azione politica, i documenti episcopali si somigliano un po’ tutti. Quello piemontese – ma anche quello dei vescovi lombardi dice lo stesso (tranne aggiungere un riferimento alla sussidiarietà, parola chiave del verbo ciellino) – parla di difesa e promozione della vita e della famiglia, centralità della persona umana, cultura, libertà religiosa, intercultura, salute, pace, legalità, solidarietà, giustizia sociale, gratuità.
Comunione e Liberazione: votate a destra
La situazione non è molto diversa se si passa all’associazionismo cattolico, che pare rispecchiare fedelmente l’indecisione delle gerarchie. Partiamo dalla ciellina Compagnia delle Opere, storicamente vicina a PdL e Lega, questa volta meno convinta nello schierarsi con quest’asse. In vista della scadenza elettorale la CdO ha presentato un documento, dal titolo “Un bene per l’Italia e per l’Europa”. Il criterio con cui l’associazione valuterà le proposte programmatiche delle forze politiche, afferma il documento, è quello dei tre grandi capitoli in cui si gioca il futuro del Paese: l’educazione alla libertà e alla responsabilità, un’imprenditorialità aperta al mondo e una solidarietà sussidiaria. Temi che ovviamente guardano a destra assai più che a sinistra. Ma che potrebbero essere assunti tanto dal centrodestra berlusconiano quanto dal Terzo Polo montiano. Stessa cosa per le priorità individuate dalla Compagnia delle Opere: la politica per la famiglia e la riforma complessiva del sistema scolastico; la semplificazione burocratica e l’abbassamento reale del carico fiscale per le imprese; la riduzione sostanziale della spesa pubblica; il superamento dello scandalo del debito della pubblica amministrazione; il superamento della dicotomia pubblico-privato. Certo, la CdO dà un giudizio positivo dell’ultimo anno di governo, che «ha intrapreso una strada caratterizzata da serietà e credibilità internazionale, ottenute soprattutto attraverso il controllo dei conti pubblici e il tentativo di sburocratizzazione e snellimento della pubblica amministrazione. Il prossimo Governo – afferma il documento – dovrà proseguire su questa strada, improntandola alla crescita». Ma qui il colpo al cerchio berlusconiano, rinforzato dai continui richiami all’Europa ed alla necessità che il nuovo esecutivo sia in sintonia con le politiche continentali, si accompagna a quello alla botte montiana: «La nuova legislatura dovrà caratterizzarsi per un’autentica fase costituente che realizzi anche un federalismo in grado di responsabilizzare realmente le Regioni, premi la capacità dei territori di mettere in campo esperienze eccellenti, riduca le sovrapposizioni tra competenze dello Stato e delle Regioni. Si contribuirà, così, anche a creare le condizioni più favorevoli per una ripresa del Sud del Paese». Parlando delle elezioni regionali, il documento pare invece decisamente schierato con il centrodestra, a difesa dei 17 anni di governo di Roberto Formigoni: si auspica infatti «che il percorso di modernizzazione intrapreso con successo in Lombardia, con leggi innovative che hanno consentito la libertà di scelta nei servizi essenziali – dalla scuola all’assistenza, alla sanità – venga consolidato e incentivato. Tale percorso – si osserva – ha documentato come la sussidiarietà possa diventare un asse portante per il rinnovamento nell’amministrazione delle Regioni».
Azione Cattolica: votati all’indecisione
Ancora più incerta la posizione dell’Azione Cattolica Italiana, che sulle elezioni ha emesso una nota del proprio Consiglio Nazionale in cui si elencano i temi dirimenti per il futuro del Paese. Dalla lettura emerge chiara solo la condanna dell’astensionismo. Per il resto l’Ac traccheggia: schierarsi a destra va contro la sua storica collocazione nell’alveo del cattolicesimo democratico; guardare a sinistra metterebbe l’associazione in cattiva luce di fronte all’episcopato, la cui fiducia è stata finalmente e pienamente riguadagnata dopo anni di duro “purgatorio” ecclesiale. E allora la nota si limita ad invocare responsabilità, equità, sobrietà e solidarietà: quattro parole chiave entro cui collocare le varie proposte dell’associazione. Tutte prendono le mosse dall’assunto che è necessario «ripartire dalle persone per restituire dignità a chi vive le troppe fatiche del tempo presente». La “questione sociale”, avverte però l’Ac ammiccando al magistero dei vescovi, può essere messa a fuoco solo se sono chiari i valori di riferimento: la famiglia e l’etica della vita. Via poi allo sciorinamento delle questioni urgenti del Paese, tutte ugualmente sottoscrivibili da destra a sinistra: le riforme istituzionali, il cambiamento della “vergognosa” legge elettorale, la riduzione del numero dei parlamentari, la questione giovanile, la promozione della cultura della legalità, la riforma del welfare, una più efficace politica di integrazione dei migranti e – come poteva mancare – l’appello affinché l’Unione Europea non si riduca «alla sola dimensione finanziaria», dovendo anzi «recuperare la sua originaria natura volta alla costruzione della solidarietà tra i popoli».
Le Acli: votate il centrosinistra
Le uniche ad aver fatto una scelta di campo netta, e in contrasto con la scelta del loro ormai ex presidente Olivero, sono le Acli che già nella loro direzione nazionale del 12 dicembre 2012 ribadivano che la loro autonomia associativa non gli impediva «di compiere scelte di campo e di affermare che per la prossima legislatura è opportuna e necessaria una salda e ampia maggioranza di centro-sinistra, comprendente le forze della sinistra, insieme con le culture politiche del cattolicesimo democratico e popolare e quelle liberali riformiste non lasciatesi coinvolgere dai populismi berlusconiani».