Asia FilesScandalo nel judo femminile giapponese, quando la “disciplina” diventa violenza

Mentre Tokyo già si prepara ad accogliere con tutti gli onori la commissione che a marzo valuterà la candidatura della capitale giapponese a ospitare le Olimpiadi del 2020, ecco che qualcosa va sto...

Mentre Tokyo già si prepara ad accogliere con tutti gli onori la commissione che a marzo valuterà la candidatura della capitale giapponese a ospitare le Olimpiadi del 2020, ecco che qualcosa va storto. Lo sport giapponese – e il suo sport più rappresentativo nel mondo, il judo – è nell’occhio del ciclone.

La squadra nazionale di judo femminile si trova in questi giorni coinvolta in uno scandalo che potrebbe sfuggire al controllo delle autorità sportive nipponiche. Ryuji Sonoda, l’allenatore del team che nel frattempo si prepara ad affrontare un tour europeo, ha rassegnato le sue dimissioni, dopo che in settimana la confessione di una delle sue atlete ne ha rivelato i ripetuti abusi fisici e molestie. Inizialmente la federazione nazionale di judo aveva deciso di fare cerchio intorno all’allenatore. Poi, vista l’attenzione attirata sul caso, lo stesso Sonoda ha optato per le dimissioni. «È solo la punta dell’iceberg», ha dichiarato Noriyuki Ichihara, direttore esecutivo del Comitato Olimpico giapponese all’agenzia di stampa Kyodo. «Credo che queste cose accadano regolarmente e continueranno ad aumentare», ha aggiunto Ichihara, il quale ha ammesso poi che il problema non riguarda solo il judo.

Ryuji Sonoda, l’allenatore accusato di 15 episodi di violenza

E infatti il problema non è nuovo né tantomeno circoscritto alle arti marziali. A dicembre dello scorso anno, il suicidio del capitano di una squadra di basket di un liceo di Osaka, la seconda città del Paese-arcipelago, aveva riportato l’attenzione del pubblico sul tema. Secondo quanto riportato dai notiziari, il ragazzo era stato maltrattato fisicamente dal proprio allenatore. Qualche anno prima, un lottatore di sumo di diciassette anni era morto durante un allenamento. Causa: le troppe botte. In molti difendono i metodi educativi fondati sull’uso del proverbiale “bastone”. Lo stesso allenatore del cestista di Osaka aveva ammesso di picchiare i propri giocatori, e che alcuni di loro addirittura miglioravano con i metodi forti. Erano «necessari per renderli più forti». Una posizione che ha riscontro anche tra alcuni pedagoghi e politici di fama nazionale.

A Hiroshi Totsuka, fondatore di una omonima scuola per ragazzi con disturbi comportamentali nella provincia centrale di Aichi, non sono bastati sei anni di galera, dopo che negli anni ’80 furono scoperti i segni dei suoi maltrattamenti sugli studenti e alcuni casi di suicidio, per cambiare idea sui suoi metodi d’insegnamento. La “disciplina fisica”è parte integrante dell’educazione del buon giapponese. Gli fa eco l’ex governatore di Tokyo, Shintaro Ishihara, attualmente a capo della terza forza politica del Paese: «le punizioni corporali sono un processo necessario nella crescita dei figli».

In Giappone, i maltrattamenti sui minori sono illegali dal 1947. Tuttavia, sono duri a morire in una società estremamente competitiva e gerarchica. Il Partito liberal-democratico, attualmente al governo, ha promesso di approvare una legge contro il bullismo, lo ijime – altra piaga sociale denunciata a più riprese – e di inserire nel provvedimento anche una parte sulle punizioni corporali: le scuole potranno denunciare i casi di violenza direttamente alle autorità locali competenti. Ma soprattutto il Comitato olimpico giapponese dovrà prendere al più presto provvedimenti per chiarire la portata del fenomeno, e limitarlo. O il sogno olimpico rischia di restare tale.

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