Ho incontrato Chavez nel 2002, pochi mesi dopo il fallito golpe in cui era stato brevemente imprigionato in un’ isola vicina. Nonostante fosse agosto, quasi tutte le posadas di Los Roques erano praticamente vuote, i turisti erano restati alla larga per timore, ma noi “coraggiosi” ci potevamo godere quel paradiso come non mai.
Sbarcò un tardo pomeriggio per annunciare la costruzione di sgraziate case popolari a Gran Roque, non c’ era nessuna folla ad accoglierlo, anzi dopo un mini-comizio davanti a una trentina di persone, senza bandiere né canti, partì in piedi su un golf cart guidato da un militare e senz’ alcuna altra scorta alla volta del terreno di periferia designato per la costruzione. Dopo poche decine di metri si fermò e scese a salutarmi, forse equivocando la mia tenuta da spiaggia, costume e maglietta, per una letterale divisa da sanculotto. Ero solo e davvero mi fece impressione che il Presidente del Venezuela si fosse fermato proprio per me, come da noi avrebbe fatto al massimo Ennio Doris di Mediolanum, quello che traccia cerchi nei laghi salati.
Ricordo la forte stretta di mano di quell’ omone che sembrava un pugile e che in realtà detestavo come il più nuovo dei demagoghi, così lontano dal compassato ma cortese principe Carlo d’ Inghilterra, che avevo incontrato, in analoghe circostanze balneari, qualche anno prima nella bellissima isola dalmata di Mljet. Per Hugo niente abito chiaro di Savile Row, ma un’ uniforme da combattimento senza nastri e medaglie, che poteva sembrare quasi la tuta di lavoro di un gigante davvero arrivato per dare una mano.
Il suo segreto era probabilmente quella stretta di mano, quel modo rassicurante di sorridere, immediatamente comprensibile dalle persone semplici, quel fisico, quella lontananza sia dal lusso di chi comanda che dalle medaglie con cui i i generali si pavoneggiano. Hugo Chavez era un uomo venuto dal basso con un enorme carisma, senza mai montarsi la testa e che dava istintivamente la sensazione che ti avrebbe aiutato a tener lontani i guai. Mutatis mutandis davvero mi ricordava Doris, un antidepressivo naturale che per mantenere la propria immagine di protettore e garante, un’ immagine che è sostanza, ha rimborsato di tasca propria ai clienti le perdite dovute al tracollo di Lehman Brothers, senza che fosse tenuto a farlo.
Naturalmente c’ è l’ altro lato della medaglia e, come Doris ha fama di essere spietato in azienda, così Chavez ha sempre trattato gli avversari come nemici da annichilire, niente a che vedere con le discussioni a Westminster piene di humour.
Senza il fascino da bel tenebroso del medico borghese Ernesto Guevara detto el Che, senza il bagaglio culturale delle scuole dei Gesuiti come il mancato avvocato Fidel Castro, Chavez era un uomo del popolo per il popolo, ma, come era la sua forza, questo era il suo limite invalicabile. Non c’ era un piano per trasformare quel popolo in middle class, investendo i proventi del petrolio.
La vera rivoluzione venezuelana, l’ unico punto di eccellenza del Paese resta lo straordinario Sistema di José Antonio Abreu, che ha trasformato in buoni musicisti centinaia di potenziali giovani delinquenti e prodotto Gustavo Dudamel, che ora è uno dei direttori d’ orchestra di grido. El Sistema è la dimostrazione che i Venezuelani, se guidati nella giusta direzione, possono raggiungere ottimi risultati. Gli appassionati di musica classica devono lodare Chavez per l’ appoggio dato al Sistema, ma contemporaneamente constatare che non l’ ha preso ad esempio per contagiare positivamente il resto del Paese, che vive senza obiettivi.
Il dibattito pro e contro Chavez, praesente cadavere, non può non partire dalla constatazione che il suo modello economico e politico funziona solo se c’ è una continua sorgente di ricchezza da distribuire e non già da produrre giorno per giorno. Il neo-bolivarismo ha intercettato la rendita petrolifera prima accaparrata dalle élite e l’ ha redistribuita in parte ai più poveri, in cambio di sostegno politico. Putin e i sovrani del Golfo fanno lo stesso senza gran chiasso, anche perché a differenza di Chavez non hanno bisogno di essere rieletti in elezioni vere.
La domanda che dobbiamo farci noi, che invece dei pozzi petroliferi abbiamo un pozzo di debiti senza fondo, è che cosa dobbiamo imparare dall’ esperienza del Venezuela di Chavez e, a mio parere, la risposta è che dobbiamo stare alla larga. Non ci manca infatti l’ assistenzialismo di origine democristiana, nutrito da certo sindacalismo alla Camusso, non ci manca la corruzione che inevitabilmente si genera da uno Stato che si espande in ogni dove.
Il tenore di vita dei Venezuelani non è sostenibile o meglio lo è soltanto finché è sostenuto dalla rendita petrolifera. Nei lunghi anni sotto Chavez il Venezuela, che estrae petrolio dai primi del Novecento ma è uno dei Paesi più sgangherati del pianeta, ha visto peggiorare tutto quello che riguarda la produzione, concentrandosi sul consumo. Un Paese che aveva una discreta industrializzazione e ha visto molti nostri connazionali arrivare in cerca di fortuna fino a cinquant’ anni fa, è ora totalmente dipendente dall’ esportazione di materie prime e incapace di produrre modernamente beni e servizi. Nonostante il clima favoloso, le tante bellezze naturali e i campi in cui si miete due volte l’ anno, è il luogo della Terra dove è più difficile vivere, anzi sopravvivere, perché il numero di omicidi a Caracas è superato solo dalle città messicane al confine con gli USA, dominate dai narcos.
Il ricco Venezuela non conosce disciplina, non fa alcun sacrificio oggi per avere un migliore domani, non si stupisce, con tanti morti ammazzati ogni giorno, se le condizioni di sicurezza nei voli per Los Roques sono approssimative. Che ci vuoi fare, si tienes mala suerte? Io ho detto basta dopo che, nel penultimo incidente, me la cavai perché avevo scelto di volare con quello stesso volo, ma il giorno successivo. Avete presente il rigore maniacale che si attribuisce a Tedeschi, Svizzeri e Giapponesi e che peraltro è generalizzato nel mondo dell’ aviazione? Il Venezuela è l’ esatto contrario, tutto viene fatto… tra gli amici al bar farei riferimento ai genitali del miglior amico dell’ uomo.
Chavez ha distribuito pani e pesci ai Venezuelani, ma non li ha moltiplicati e non ha insegnato né a pescare né che per prendere i pesci ci si deve alzare presto. Il pericolo maggiore del neo-bolivarismo, soprattutto per chi non gode della medesima rendita, è dimenticare che bisogna infornare la torta ogni giorno e non solo passare il tempo discutendo delle fette o raccontarsi quanto si è felici nel vedere che ogni giorno la dimensione della torta decresce.
Addio Chavez, hai fatto fare una bella ricreazione ai tuoi connazionali. Chissà quando suonerà la campanella, che da noi è suonata inutilmente con lo spread nell’ estate 2011.