I due programmi di Bersani: “Todo cambia”

Pre-incarico a Bersani, dunque. Arrivato al giudizio elettorale con un programma in 10 punti. E punito dagli elettori. Costretto a riaggiustare il tiro subito dopo il voto, presentando 8 punti nell...

Pre-incarico a Bersani, dunque. Arrivato al giudizio elettorale con un programma in 10 punti. E punito dagli elettori. Costretto a riaggiustare il tiro subito dopo il voto, presentando 8 punti nella speranza di convincere Grillo.

Vediamo le differenze alla luce delle word cloud elaborate da Voleteilmiovoto.

Nella prima versione del programma di Bersani il mainstream è dato dalle parole “Europa”, “Italia”, “Paese”, “tutti”, “insieme”. Un ancoraggio forte alla dimensione nazionale, a sua volta incastonata nella dimensione europea. Un richiamo sostanzialmente ideale – se non generico – che vuole rassicurare sulle radici e sul raggio di azione. Un messaggio che non promette strappi, ma stabilità. Che trasmette il calore del destino comune, del camminare gli uni accanto agli altri.

L’altra linea è quella definita dalle parole “democrazia”, “democratici”, “progressisti”, “progetto”. Per definire un perimetro prima di tutto culturale e ideologico. E poi politico. Più che un programma, una definizione del campo. Un modo per intendersi: o state qui dentro, o siete qualcosa d’altro. A questo serve anche il recupero di temi chiave come “uguaglianza” e “donne”, capaci di definire il perimetro. O di termini vagamente morali come “rispetto” e “dignità”.

Il quadro si completa con pronomi e verbi coniugati nella prima persona plurale: “noi”, “crediamo”, “siamo”. Un modo per circoscrivere un’identità collettiva ben determinata, coesa, solida. Quasi una corazza indossata da un corpo fatto di persone e narrazioni. Identità rafforzata dal contraltare che si trova in due parole che ritornano e che parlano da sole: “contro” e “destra”.

Un messaggio che non vuole trasmettere programmi, obiettivi e impegni. Vuole solo comunicare un modo di essere, senza interessarsi della concretezza dei problemi e delle soluzioni. Per questo, basta l’estrema vaghezza di parole come “politica” e “politiche”.

La stessa parola “lavoro” – che campeggia tra le più ricorrenti nel programma del segretario – ancor più che una finalità sembra l’architrave storico e culturale dell’identità. Il partito democratico è il partito del lavoro: ancora una volta siamo di fronte ad una presentazione delle generalità di un soggetto politico, molto più che alla sua ricetta di governo.

In questo panorama così statico appare tuttavia una linea orientata verso ‘sorti progressive’: è quella definita dalle parole “ricerca”, “formazione”, “futuro”, “speranza”. Dall’unione di punti di programma e orizzonti si cerca di lasciare aperta una pur timida prospettiva di domani.

Troppo poco, dal punto di vista degli elettori. Bersani subisce un duro colpo. Tutto cambia. Il nuovo programma in 8 punti – da giorni esposto ai ripetuti rifiuti di Grillo – viene profondamente modificato.

Non più la destra: il nuovo nemico è l’“austerità”. Ovvero quell’insieme di politiche imposte dall’Europa – e sostenute in Italia dal governo Monti (che il Pd, però, ha lealmente sostenuto) – che stanno affamando gli italiani. E’ per questo, probabilmente, che accanto alla parola “lavoro” adesso acquista centralità la parola “sviluppo”. E ancora: “economia”, “finanza” e “bilancio” illustrano chiaramente dove si dovranno mettere le mani da subito.

Un gruppo di parole chiave (“programma”, “proposta”, “proposte”, “misure”, “obiettivi”) rappresenta bene il nuovo impegno programmatico di questa nuova fase. C’è uno scarto nuovo, un tentativo di movimento, il tentativo di innescare la marcia delle riforme.
Lo si capisce anche dal ritorno di due termini come “legge” e “norme”: la lista è lunga e dettagliata. Un completo rovesciamento rispetto al programma elettorale. Su queste leggi e norme si misurerà il risultato del lavoro che il nuovo Governo dovrà svolgere con il nuovo Parlamento: i primi prodotti di una politica chiamata a trasformare il Paese.

Seppure in un quadro di “stabilità”, l’emergenza è chiara: “cambiamento”, potenziamento”, “investimenti”. Il governo di Bersani dopo le elezioni non è più quello della forza tranquilla e della identità sicura. E’ il governo che vuole raccogliere la richiesta di trasformazione che gli italiani hanno espresso con il voto di febbraio. Per farlo saranno necessarie riforme profonde (e, in alcuni casi, misure spietate). Lo spiega bene un grappolo di termini come “rivisitazione”, “riduzione”, “correzione”, “revisione”. Il vento del cambiamento e della sfida sembra soffiare tra le pagine del nuovo programma di Bersani, che ha appena ricevuto un pre-incarico per verificare l’esistenza di una maggioranza.

Una determinazione tardiva sulla quale i commentatori hanno ironizzato non poco. Nelle prossime ore capiremo se si tratta del colpo di reni finale che consente di tagliare il traguardo. O dell’estremo tentativo prima della resa. In ogni caso, aspettiamoci sorprese.

@vittorioferla

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