La sensazione di disagio che una sveglia mattutina provoca è all’incirca parificabile a quella di vedere Silvio Berlusconi come proprio consulente matrimoniale.
Il mare davanti a te sembra infinito, il vento tra i capelli, il sole. Ma poi, bieca e cinica, arriva lei, la sveglia cinese a cui non cambi le pile da sette anni ma che funziona meglio di una qualsiasi sofisticata tecnologia tedesca.
Se già prendere coscienza di sé risulta impresa titanica, la sensazione del chiedersi in cosa si è sbagliato diventa ancora più forte quando, ancora semi incoscienti, si realizza dell’esistenza della partner in casa.
Solitamente avviene in due modi, sui quali una ricerca condotta dall’Università dell’Ontario sta appurando quale istighi maggiormente al suicidio. Il primo è il metodo “disperazione”, ossia realizzare che una figura simil umana con capelli lunghi sta sbavando e russando a fianco a te nel letto, tanto che ti chiedi come deve essere carina la vita da frate di clausura in cui ti svegli solo e contemplativo. Il secondo è il metodo “trauma”, che si verifica allorquando la compagna/moglie/fidanzata/amante sforna in un minuto netto dall’apertura delle palpebre più parole di quelle che l’enciclopedia Treccani riserva alla voce “Italia”, delle quali tre quarti sono domande di cui non si riesce assolutamente ad avere cognizione e dove la risposta standard è solitamente un rutto.
Le attività che precedono l’uscita di casa sono quasi totalmente improntate all’essere espletate nel minor tempo possibile, dal momento che la sveglia che suona alle 6.30 è regolarmente disattesa e potersi preparare dalle 7.30 alle 7.45 è impresa di fantozziana memoria.
Alta si leva la prima imprecazione quando il dentifricio macchia la cravatta, quella che ogni giorno da circa sei anni ti dici che dovresti mettere dopo che hai lavato i denti.
Al momento di uscire di casa, ritieni sia buona educazione salutare. Se l’entità femminile presente tra le mura domestiche rientra nella prima categoria menzionata, si otterrà come tutta risposta un qualche indefinito verso gutturale che ti sembrava di aver già sentito in qualche documentario di Super Quark. Se appartiene alla seconda, invece, nel mentre che hai bevuto il caffè lei è già andata a fare la spesa, a lavare la macchina, ha telefonato a sette persone e quando sei sull’uscio ha il divano in una mano e sta finendo di pulire la sala, tanto che non riesci a capacitarti di come nel frattempo sia sempre riuscita a parlarti ininterrottamente.
Ancora in stato di infermità mentale, il tragitto mattutino casa-lavoro sarà una dura prova per la tua fede religiosa.
Una volta salito sui mezzi pubblici, il disagio provato al risveglio tenderà incredibilmente ad aumentare, unendosi ad una sensazione di rabbia stragista e a nuove imprecazioni più o meno trattenute. Il tacco 12 della rampantina in carriera di fronte a te conficcato nell’alluce, lo zaino dello studente incastrato nella schiena e la cara vecchina attaccata ad un braccio, che “questo autista guida così a scossoni, le spiace se mi tengo in piedi?”. Rifletti attentamente sul fatto che non hai mai adorato così tanto l’odore del napalm di prima mattina e solo un’apparizione mariana ti trattiene dal mettere in atto i delitti atroci creatisi nella tua mente.
Una volta riuscito a scendere dal mezzo pubblico, spesso venendo sparati, stile tappo dello spumante, ad una distanza fra i 12 e i 13 metri dalla porta a causa della innaturale compressione umana dalla quale si riesce ad emergere, si arriva dinanzi all’ufficio.
L’arrivo al lavoro, non l’avresti mai detto, diventa un’oasi di pace.
“Se fossimo stati creati per schizzare fuori dal letto appena svegli, dormiremmo tutti nel tostapane” (Garfield)