La primavera dei graffiti di Aya Tarek

Quando la guardi che si avvicina, e ti saluta con le sue mani piccole, non diresti mai che sei di fronte ad una Regina. I pantaloni e la maglietta stropicciati, le scarpe da tennis di stoffa e i ca...

Quando la guardi che si avvicina, e ti saluta con le sue mani piccole, non diresti mai che sei di fronte ad una Regina. I pantaloni e la maglietta stropicciati, le scarpe da tennis di stoffa e i capelli corti corti, sono gli indumenti di una ragazza comune della sua età, 23 anni appena. Ma qui siamo al Cairo, in Egitto, e lei la chiamano The Beauty Queen of Azarita. Quindi lascio che inizi a raccontarmi la sua storia e allora mi accorgo che davanti a me c’è davvero una persona speciale. Infatti è grazie a lei, Aya Tarek – mi hanno raccontato – che oggi si fa street art sul serio in Egitto.

La locandina di un film trasformata da Aya Tarek e dal collettivo ARTest in un murales

Per questa giovane ma caparbia ragazza egiziana la rivoluzione è iniziata nel 2008, ad Alessandria d’Egitto: “E’ stato in quell’anno che ho portato per la prima volta la mia arte nelle strade, con flyer, stickers e murales”, mi racconta. Le gallerie non volevano i suoi dipinti, ma lei desiderava “disperatamente mostrare il mio lavoro fuori dalla Facoltà di Belle Arti”, dove studiava. Con i suoi graffiti è finita anche in un film, Microphone (del 2010), di Ahmed Abdalla, dedicato ad Alessandria dove c’era già una scena underground piuttosto vivace, mentre al Cairo lo spazio pubblico restava silenzioso, soffocato da divieti di ogni tipo.
Oggi, Aya Tarek vive tra Alessandria d’Egitto e il Cairo, ed è impegnata come libera professionista in progetti di grafica, short-film, sperimentando di recente anche un po’ di interior design. Ha aperto uno studio che si chiama ARTest (ex Fo2 w Ta7t) ad Alessandria, con il collega architetto Yazaan Zo’bi, con cui organizza anche workshop. All’inizio se è iscritto anche Ganzeer, un altro artista egiziano molto noto nella scena della street art locale. Fra i graffiti della Rivoluzione, di cui mi occupo da tempo, né al Cairo né ad Alessandria trovo piu’ la sua firma. “Mi sono unita alle proteste (del 2011, ndr), ma mi sentivo come uno zombie”. Aya Tarek mi fa capire che la sua sfida nelle strade egiziane lei l’ha vinta almeno 3 anni fa. “Per me – continua – e’ arrivato il momento di iniziare una nuova fase”.

L’espressione grafica di Aya Tarek si ispira a quella di suo nonno, Hassan Ibrahim, un artista noto per aver realizzato, dagli anni ’60 fino agli anni ’80, bellissime locandine per il cinema. Ad ispirarla ci sono anche la pop art, la calligrafia e le miniature persiane. Il suo lavoro l’ha già portata all’estero, recentemente in Danimarca per un workshop e l’anno scorso a Beirut, in Libano e a Francoforte.

Chiudo il nostro incontro chiedendole che cosa pensa oggi la Regina del suo Paese? Dice di essere piuttosto delusa, e prima di andarsene mi racconta un aneddoto. Vicino al suo studio di Alessandria c’è l’officina di un uomo, una specie di meccanico tuttofare, che l’ha sempre aiutata con piccole riparazioni. “Da circa una anno, pero’, si è fatto crescere la barba e non mi aiuta piu’”. Poi sorride, ed aggiunge: “All’inizio ci sono rimasta male. Poi, ho alzato le spalle”. L’Egitto sta costruendo una nuova democrazia. Forse tutto cio’ è necessario.

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