In India si delinea come disastroso il quadro giudiziario in vista del procedimento contro i due fucilieri di Marina del Battaglione San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati per la morte di due pescatori. I due militari italiani potranno essere condannati soltanto a una pena detentiva che verrebbe comunque scontata in Italia, come stabilisce il trattato firmato lo scorso anno. Intanto Massimiliano Latorre ha lancia un appello alla politica italiana perché non si divida nei rimpalli di responsabilità ma trovi unita una soluzione a «questa tragedia».
Frattanto l’Alta Corte di New Delhi ha designato il giudice Amit Bansal quale magistrato capo metropolitano responsabile del tribunale speciale che giudicherà sui marò. Bansal è il magistrato capo della Patiala House Court. L’istituzione del tribunale speciale potrebbe però subire uno slittamento perché il ministero dell’Interno ha chiesto chiarimenti alla Corte Suprema e si sta consultando con il Procuratore generale. Il ministro della Giustizia indiano, pur smentendo di aver dato garanzie scritte al governo italiano, come invece riportato nei giorni scorsi dal sottosegretario agli esteri italiano, Staffan De Mistura, ha precisato che «per la legge indiana la pena di morte non e’ applicabile per questo tipo di reato». E dal Kerala arrivano le illazioni del governatore Oommen Chandy, in piena campagna elettorale, che tenta di placare la rabbia dell’opposizione nazionalista ridando fiato alle tesi, mai dimostrate, dell’accusa. «I due marò – ha detto – sono stati vittime del loro comportamento criminale. Sono coinvolti nell’omicidio di due persone innocenti», ha sottolineato Chandy, ribadendo che la giurisdizione del caso non può che essere indiana. «Hanno ucciso due pescatori indiani su una imbarcazione indiana, non ci sono motivi per giudicarli in Italia», ha spiegato.
Torna a farsi assordante il silenzio dei media, sia italiani che indiani, non solo sul fatto che nessun tipo di responsabilità diretta dei due fucilieri sia ancora stato accertato, ma anche sul fatto che non esistano nemmeno prove sufficienti a determinare con certezza che l’imbarcazione sospetta contro la quale i due marò hanno aperto il fuoco sia la stessa sulla quale si trovavano i pescatori uccisi. Troppe le discrepanze tra le tesi dell’accusa e i fatti, a cominciare dagli orari del presunto ingaggio, passando per i silenzi sugli esiti degli esami autoptici effettuati sui cadaveri degli uccisi, e su quelli balistici, che avrebbero rilevato nette discrepanze tra i calibri dei proiettili recuperati dai corpi e dallo scafo del peschereccio e quelli dei fucili in dotazione ai nostri militari.
E anche l’autorevole quotidiano statunitense New York Times, proprio come fatto nei mesi scorsi dal giornalista italiano Fausto Biloslavo, torna a dare corpo all’ipotesi che a sparare al peschereccio sia stata invece la Guardia Costiera dello Sri Lanka, non nuova a questo genere di azioni draconiane copntro i pescatori indiani che sconfinano nelle acque territoriali cingalesi. Tra i due paesi, India e Sri Lanka, si protrae infatti da tempo una lunga guerra mai dichiarata sui diritti di pesca nelle acque di confine.
Tutto questo mentre in Italia non si placano le polemiche politiche intorno alla vicenda. Tanto che Latorre, in una mail inviata al giornalista Toni Capuozzo, ha invitato i politici a mettere da parte le divergenze. «Non ci serve ora sapere di chi sia stata la colpa, perché non ci porta a nulla e tanto meno non porta a nulla che le forze politiche si rimbalzino le responsabilità», ha scritto Latorre. «Quel che vi chiediamo ora – prosegue il fuciliere nella sua missiva al cronista – è non divisione ma, come i nostri fucilieri, mettetevi a braccetto, unite le forze e risolvete questa tragedia».
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