La città eterna chiama. E l’Argentina risponde. Sono le 19:06 del 12 marzo quando la fumata attesa da tutto il mondo si colora di bianco. E la voce del cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran, dalla Loggia centrale della Basilica, annuncia il Santo Padre: l’“Habemus Papam” tuona tra la folla gremita in Piazza del Vaticano e, dopo pochi secondi, è il viso dolce e buono di Jorge Mario Bergoglio a fare capolino: “Bienvenido” Papa Francesco. Argentino, 76 anni, gesuita, 266esimo pontefice. Il primo sudamericano. Il segno di un nuovo inizio? Timido, un po’ schivo. Ma semplice e naturale. Un Papa umile. Un Papa che rompe gli schemi. Il Papa della “discontinuità”? Niente Mozzetta, niente Rocchetto, niente croce pettorale. Ebbene sì, Francesco si è presentato così alla gente di Piazza San Pietro. Jorge non guarda alla forma, ma alla sostanza. Non usa studiati panegirici, ma parole comuni. Insomma, vuole essere uno di noi.
Un Papa anticonvenzionale? Un Papa “debussyano”, azzarderei.
Il desiderio di ritrovare l’unità perduta con il mondo, di percepire la dimensione di mistero dell’ambiente che ci circonda e ricostruirne le vibrazioni profonde fa del neo pontefice un “discepolo” della “poetica dell’acqua” propria del noto musicista francese Claude Debussy. L’acqua è l’elemento che dissolve e rinnova tutte le forme, acqua creatrice e distruttrice. Allo stesso modo l’acqua di Debussy purifica e rigenera una musica ormai vuota di sostanza e piena di forme sclerotizzate da una tradizione morta. Debussy vuole recuperare la sostanza. L’empatia con il mondo e i suoi elementi lo rende capace di riprodurre l’“incanto” che si cela anche nei fenomeni più comuni. E, così, anche Papa Francesco si immerge nello spettacolo, semplice ma al tempo stesso sublime, della quotidianità della vita. Nel fare della natura una fonte primaria di ispirazione si scorge il tentativo di liberare la “Parola” dalle costrizioni dell’accademismo. Papa Francesco comunica con fluidità melodica, con un timbro vellutato e con un ritmo dolce. Così come le note del “Clair de lune” di Debussy, le parole “liquide” del Santo Padre trovano spazio fra un senso comune e una forma che, pervasa dalla fluidità, risulta libera dalle geometrie interne del sistema. Una rivoluzione del linguaggio modicamente rumorosa, ma altrettanto pervasiva e foriera di importanti input per l’evoluzione della Casa del Signore. Una Chiesa non più rigidamente ancorata agli “statici” schemi tradizionali, ma protesa alla fluidità del cambiamento. E, l’avvicinarsi di mondi apparentemente distanti è reso possibile dalla semplicità espressiva di un Papa che è, soprattutto, armonia comprensibile e contorno melodico per l’uomo odierno.
20 Marzo 2013