BridesheadUn revanchismo generazionale?

Sin da quando ho cominciato a interessarmi del M5s – e confesso di averlo fatto con enorme ritardo, ormai a ridosso delle elezioni politiche – sono stato colpito da un fatto. Le interviste ai milit...

Sin da quando ho cominciato a interessarmi del M5s – e confesso di averlo fatto con enorme ritardo, ormai a ridosso delle elezioni politiche – sono stato colpito da un fatto. Le interviste ai militanti più giovani, per intenderci quelli della fascia d’età tra i venti e trenta anni, mi ricordano sovente le conversazioni con i miei studenti. Non solo perché, come è ovvio, alcuni di quei militanti avrebbero l’età giusta per essere degli studenti universitari. C’è qualcosa di più. Credo che all’origine di questa sensazione ci sia l’essermi reso conto che, ormai da qualche tempo, mi capita di pensare di avere ben pochi punti di riferimento in comune con i miei studenti. Quasi certamente meno di quelli che, da studente, ho avuto con i miei professori.

Mi sono chiesto come mai, e credo che la riposta abbia probabilmente a che vedere con il fatto che al fisiologico stacco tra generazioni deve essersi sovrapposto un altro tipo cesura, forse più profonda, dovuta a cambiamenti di costume, di modo di pensare e di interagire, innescati dal salto compiuto dalle tecnologie dell’informazione. Sono nato nel 67, e quindi avevo già più di venti anni quando la rete è diventata un fenomeno di massa. Ricordo che alla fine degli anni novanta, quando lavoravo nel Regno Unito, mi colpì la differenza rispetto al nostro paese, dove l’uso della rete e della posta elettronica non era ancora così diffuso, sopratutto tra gli studiosi più anziani di humanities.

La mia generazione ha imparato a usare la tecnologia dell’informazione, i più svegli tra noi hanno anzi contribuito a crearla, ma non siamo in alcun senso dei “nativi digitali”. Abbiamo imparato a leggere sui libri, a discutere nelle interazioni “face to face” o nella corrispondenza (eh si proprio le lettere, quelle che si scrivevano nel secolo scorso). Ci siamo formati in una cultura politica ancora plasmata dalle grandi correnti di pensiero e azione del ventesimo secolo. Per me la Guerra Fredda è un ricordo dell’adolescenza, e la Seconda Guerra Mondiale storia recente. Per i miei studenti entrambe sono “passato remoto” come la Terza Guerra di Indipendenza o la Riforma Protestante. Spesso ho l’impressione che abbiano una certa difficoltà a mettere gli eventi in prospettiva storica. C’è ieri, oggi e domani. Ma il passato non ha alcuna attualità, è privo di sfumature, e il futuro non dura troppo a lungo.

A questi cambiamenti che, con molta cautela, mi azzarderei a classificare come “antropologici”, si aggiungono quelli che dipendono dall’aver raggiunto la maturità, l’età in cui si vota, sotto il segno di Silvio Berlusconi. Gli ultimi venti anni della nostra storia sono stati segnati dalla sua avventura umana e politica. Mi conforta scoprire che alcune delle riflessioni che vi sto esponendo trovino conforto in una bella analisi del voto giovanile che è stata appena pubblicata sul sito della rivista Il Mulino, scritta da Nicola Pedrazzi, uno studioso di storia e politica dell’integrazione europea dell’Università di Pavia. Pedrazzi è nato negli ottanta, quindi appartiene proprio alla generazione di cui parla, quella che ha votato in larga maggioranza per il M5s. Un contributo che merita di essere letto integralmente, di cui mi limito a riportare le conclusioni:

i militanti del M5s sono arroganti come solo i giovani sanno essere – mi viene da dire: come avremmo dovuto essere prima. Vogliono cambiare, e hanno ragione. Vogliono contare, ed è giusto. Vogliono lasciare un segno del loro passaggio su questo mondo, e questo è addirittura bello, salvifico. La visione della Rete propugnata dalla Casaleggio Associati offre infatti un’inedita prospettiva escatologica – verrebbe da dire: una ideologia – a questi giovani nomadi esistenziali. Purtroppo, politicamente digiuni e culturalmente impoveriti dalla Seconda Repubblica e dall’università di massa, molti bravi ragazzi si stanno ingannando. Non sappiamo come evolverà il Movimento a seguito del successo elettorale. Quello che si può dire sin da ora è che vi è una contraddizione spaventosa tra il grido (sanissimo) dei giovani cittadini che hanno finalmente ripreso coraggio e la bocca cui hanno affidato la loro voce; un fatto che se da un lato conferma il tragico analfabetismo democratico dei miei coetanei, dall’altro dimostra tutta l’incapacità rivoluzionaria dei rivoluzionari di oggi. Entrambe queste nostre carenze, cari genitori, derivano dall’Italia in cui siamo nati e cresciuti. Un Paese che ci accingiamo a governare.

Che dire? Speriamo che Pedrazzi non sia l’unico così lucido.

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