…”I due coniugi hanno lasciato una lettera in cui chiedono perdono. È una lettera di mittenti senza un indirizzo, perché qualcuno possa inviare una risposta, e senza un destinatario. Una lettera come quelle che si trovano per strada o come quelle che arrivavano, in tempi passati, in spiaggia dentro bottiglie trasportate dall’oceano. Non è spedita da naufraghi ma è rivolta a dei naufraghi, a noi che siamo sopravvissuti naufragando. Non possiamo sapere il significato che i mittenti hanno dato al perdono (quello che ci chiedono, quello che ci danno): l’hanno portato via con sé. Ci hanno lasciato soli a decidere. Lo possiamo fare solo guardandoci attorno (guardarci dentro è spesso la prima scappatoia disponibile). Guardando il vuoto che i nostri occhi non sono abituati a vedere, guardando i nostri gesti distratti e ripetitivi, la ritualità che prende il posto della nostra passione (erotica, sociale, civile), l’esaltazione di tutti i luoghi comuni che esilia ogni tipo di pensiero difficile, potremmo forse arrivare a capire che cosa ci dicono (utilizzando il loro sacrificio ai fini di una nostra riparazione, com’è giusto che sia): ci chiedono perdono per averci lasciato al nostro destino di morti viventi se neppure la loro morte ci portasse al risveglio. Tuttavia se riusciamo a svegliarci, a tornare vivi, ci perdonano per averli lasciati partire per aver reso la loro rinuncia inevitabile. Non sono parte del nuovo che avanza né l’araba fenice che rinasce dalle sue ceneri: sono una parte di noi dimenticata che non vuol vivere come menomata né ricevere elemosina”.
Sarantis Thanopulos, Se sono loro a perdonare noi, il Manifesto, 6 aprile 2013
Il suicidio è un atto scandaloso. E’ l’eccezione, e non la regola. Gli esseri umani di norma trovano che la vita val la pena di essere vissuta, per questo non si uccidono. Chi come gli anziani suicidi di Civitanova decide di andarsene per sempre non è ansioso di raggiungere qualche altro luogo. Si trova di fronte a una situazione che giudica senza uscita e vede nella morte una soluzione, una risposta. Di fatto si rivolge a noi, i sopravvissuti, e ci chiede di capire. Capire cosa? Il suo dramma? Quello non è troppo difficile da immaginare in casi del genere. Un bilancio che non quadra, una dignità che non accetta di piegarsi a un’esistenza che si fa precaria legandosi alla eventuale benevolenza altrui. Quello che dovremmo capire è lo scandalo non del suicidio, ma di una vita che trova nel suicidio la sua soluzione. Se ci guardassimo meglio intorno, come ci invita a fare Sarantis Thanopulos, scopriremmo quante sofferenze taciute e nascoste con fermezza si muovono tra noi. Allora il mondo cambierebbe aspetto per noi. La situazione che conosciamo, fatta di alti e bassi più o meno sopportabili, è invece una situazione intollerabile alla quale è necessario, urgente, porre rimedio. In fondo l’idea dello spettacolo che deve continuare è solo consolatoria. Ci sono ferite che non dovremmo aver fretta di chiudere.