Meglio tardi che mai. Anche l’amareggiato Massimo Cacciari è arrivato alla conclusione che il Pd in realtà non è mai esistito. Dice su L’Espresso che a questo punto sarebbe meglio una scissione: cattolici e liberali con Renzi, socialdemocratici con Barca.
Sostanzialmente un ritorno ai due precendenti partiti, la Margherita e i Ds. Quei due partiti avevano dei problemi non da poco. I Ds dovevano trasformarsi in socialdemocratici ma di fatto mantenne le strutture del vecchio Pds, ossia del Pci, con tutti i vecchi problemi politici che continuava a portarsi aprresso, debiti compresi. La Margherita invece era un non-partito: riuniva varie anime che non si riconoscevano nella vecchia sinistra, tra cui gli ex Dc popolari.
Ritornare semplicemente a quello schema sarebbe forse peggio che salvaguardare il Pd. Sarebbe invece opportuno fare ordine tra le famiglie politiche possibili, che in realtà sono tre: socialista, cattolico-democratica e liberaldemocratica. Questo ragionamento ha senso se si avranno ancora delle coalizioni che si mettono daccordo prima delle elezioni, altrimenti ogni partito va per conto suo e le alleanze si fanno successivamente. In queste evoluzioni c’entra anche il sistema elettorale che verrà realizzato, oltre al destino di Pd e Pdl (senza contare il Movimento 5 Stelle). Il partito di Berlusconi difficilmente reggerà una volta uscito il suo super-leader, difficile capire cosa accadrà.
Se si puntasse su un proporzionale senza premi di maggioranza l’ideale sarebbe ricomporre forze politiche in base alle classiche famiglie: una socialdemocratica, una liberaldemocratica, una cristiano-democratica (non solo cattolica quindi), una conservatrice, una verde-ecologista e una di sinistra-comunista.
Probabile un doppio turno di collegio dove le forze possono presentarsi in alleanza in una lista oppure accordarsi in quali collegi presentare alcune e in quali altre (in entrambi i casi è come accaduto in Francia).
In passato chiedevo chiarezza al Pd se volesse essere un partito laburista o uno liberal. Né Veltroni è riuscito nel secondo esempio né Bersani nel primo. I litigi e le incomprensioni, uniti alle solite lotte intestine per i posti di potere, hanno peggiorato una situazione rimasta in sospeso, sperando che tutto finisse nel dimenticatoio il giorno in cui fosse stato realizzato in Italia il bipartitismo.
A prescindere da tutto ciò va chiarito che qualsiasi partito sarà presente in futuro bisogna cambiare radicalmente atteggiamento: gli iscritti devono aver voce formale nelle decisioni, i ruoli devono essere controllabili e revocabili in maniera snella, chi ha un ruolo nel partito non può (e non deve secondo me) puntare alle candidature elettorali: o lavori bene per il partito o lavori bene per raccogliere consenso personale.
Anche i finanziamenti vanno radicalmente rivisti: o aboliti o vincolati a specifiche attività. In particolare però vanno finanziati i servizi e i luoghi di aggregazione politica da offrire ai cittadini che non possono permettersi l’acquisto di una sede né grossi investimenti per una campagna elettorale.
Democrazia è pluralismo, è partecipazione, è possibilità di avere chance di essere eletti non solo formalmente ma anche sostanzialmente. Ora ahinoi l’Italia è una non democrazia, e rischia di peggiorare se la classe dirigente non si mette una mano sulla coscienza.