Il mito d’Europa narra che la principessa figlia del re dei Fenici, recatasi al mare con le ancelle, vi trovi un maestoso toro bianco. Questi è quieto, così la principessa gli si avvicina, lo accarezza e si convince infine a cavalcarlo. Allora il toro, Zeus sotto mentite spoglie, parte al galoppo ed arriva fino in Grecia. La principessa è da allora ricordata con il nome di Europa, in virtù di questo viaggio in cui si sposta da Oriente ad Occidente.
Oggigiorno questo mito si lega evidentemente all’Unione Europea. È da considerarsi suo mito fondante? Ma non dovrebbe quindi essere vivo nella cultura popolare? Può quest’Unione Europea nata nel XX secolo, avere un mito fondante che ricorda nel genere quello della lupa, al tempo così presente nel cuore dei romani?
Parlando di Europa facciamo riferimento ad una realtà relativamente giovane, iniziata nel secondo dopo guerra. Credo che la dichiarazione Schumann del 1950 corrisponda ad un sentimento popolare solo nel rifiuto della guerra, nell’auspicare una pace duratura. La visione di un’Unione di persone, per dirla con Jean Monnet “we don’t unify countries, we unify people” era ancora il sogno, forse un po’ elitario, di quei lungimiranti padri fondatori. Del resto l’unità europea è una realtà che si può costruire solo gradualmente come sostiene il metodo Monnet “Europe will not be suddenly built or after a common building action, it will be built through definite contributions, creating firstly and above all a real solidarity”. Per questa ragione, credo sia difficile datare la nascita dell’Unione Europea, forse come i grandi Imperi del passato non avremo una data d’inizio precisa. Questi nascevano da un piccolo villaggio sconosciuto ed occupavano territori, mentre oggi non ci sono nuove aree geografiche da conquistare e la guerra non è più considerata la soluzione alle dispute tra i membri del vecchio continente. Gli stati europei sanno e dovrebbero ricordarsi, che dividendosi tra loro perderebbero potere ed influenza nel mondo globalizzato. Neanche la Germania ha abbastanza potere per avere da sola un peso determinante nelle dinamiche economiche mondiali, quindi al di fuori di un discorso di Unione Europea ogni stato membro dovrebbe decidere chi far diventare il suo partner privilegiato. Gli stati si ritroverebbero così costretti a dichiarare e partecipare ad un eventuale guerra, non più per i loro capricci, ma perchè asserviti a quegli altrui. L’Europa deve essere unita per esistere. Per quanto banale questo concetto possa apparire, è proprio al decadere dell’Europa che potrebbe seguire il più gran disordine, con il rischio che in quest’ipotesi sarebbe il vecchio continente ad essere “colonia” delle nuove grandi potenze economiche.
In quest’Europa che vogliamo, come nei grandi imperi del passato, il primo passo non è il più importante, come non lo sono il secondo o il terzo. Non è fondamentale avere una data iniziale precisa, quel che conta è l’animo che accompagna l’evento. Vi immaginate una madre infelice di partorire? Nel caso di una mamma, è l’amore a renderla perseverante nel cercare di educare il figlio nonostante tutto; nel caso dell’Europa è la fede in un ideale a dare la forza per continuare il cammino. Due fattori importanti sono quindi la predisposizione d’animo e la visione strategica. Deve esserci una visione di grandezza che stimoli ed alimenti il raggiungimento dell’obiettivo. Personaggi quali Hitler o Mussolini, nella loro perversione avevano una grande visione, e tutto ciò che ostacolava la loro meta veniva distrutto senza discussioni. Per fortuna la via democratica sarà sicuramente più lunga della vita di un uomo solo.
I padri fondatori si presero la responsabilità di fare il primo passo di quello che sapevano essere un lungo cammino, come disse Schuman “this objective carries with it secular antagonisms and old routines, in order to made us remain firm and persevere”. È un piccolo primo passo, se consideriamo che nel 1950 con la Dichiarazione Schumann nasce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, che appare quasi come una corporazione di arti e mestieri in chiave moderna. Ma è il primo, l’immancabile, quello che in un modo o nell’altro ci obbliga oggi a dover fare i conti con la parola Europa. Forse non abbiamo bisogno di un mito antico, ma piuttosto di dedicare il nostro animo a credere in questo progetto di solidarietà, contro gli interessi dei singoli per il bene dei cittadini europei. Magari in un domani non troppo lontano, l’Europa, che come Roma non vuole imporre un’unica cultura ai suoi territori, sarà popolata da persone per cui sarà un onore essere un civis europeo, come fu un vanto poter dire civis romanus sum. Forse fra un po’ di tempo, guarderemo alla nostra Italia con una nuova prospettiva: come oggi guardando al passato vediamo tutti i vari potentati che dividevano lo stivale, un domani guarderemo al passato e vedremo tutti gli stati che dividevano il/la…. Ah, già, non possiamo ancora avere un soprannome per un territorio che non ha ancora una forma definita.