È troppo presto per giudicare la sparatoria di Palazzo Chigi. La domenica soleggiata, via Del Corso piena, Piazza Colonna, Palazzo Chigi, le pistolettate, le urla, il fuggi fuggi generale, le sirene delle ambulanze, il silenzio della scena del reato, il timore, il silenzio irreale. Inutile lasciarsi andare ora a disquisizioni su cosa sia successo, su chi sia il colpevole. Ci sono solo due certezze. La prima è il corto circuito informativo, sempre più evidente e drammatico, fra la classe dirigente italiana e il resto del Paese. Due Italie che sono racchiuse dentro gli stessi confini, ma che si continuano a fare la lotta. La seconda è il clima di esasperazione creatosi negli ultimi 12 mesi. Un clima che può essere distruttivo, che può portare gli elementi più vulnerabili ad atti estremi contro innocenti. Ed è proprio questo il momento in cui bisogna fermarsi e riflettere. Reset, rewind.
Da un lato l’Italia che soffre, che lotta per arrivare a fine mese e che non riesce più a mantenere lo stile di vita che aveva fino a qualche anno fa. Uno stile forse esagerato, fatto di cose superflue ed evitabili. Dall’altro lato c’è l’altra Italia, che vive cristallizzata come se il fallimento di Lehman Brothers non fosse mai avvenuto e come se non esistesse alcuna crisi. Ben più d’uno ha raccontato la fine della classe media, la sua disintegrazione. Il problema è che da alcuni mesi si vedono i frutti di questo fenomeno.
C’è chi ha cavalcato la rabbia sociale, incanalandola. È il caso del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Meglio il M5S che Golden Dawn, come disse l’ex comico? Forse sì. Ma l’errore del M5S è stato sdoganare, anche in ambito istituzionale, una certa dialettica fatta di insulti, turpiloquio e violenza verbale senza motivo. Tramite i social network e i media tradizionali è passato il messaggio che attaccare la classe dirigente italiana, i simboli del potere istituzionale (come non ricordare l’invocazione di un bombardamento del Parlamento da parte di Grillo) e le stesse istituzioni non solo era possibile, ma anche giusto. E quando si scrive giusto, bisogna intendere la giustizia naturale, atta a ripristinare l’ordine delle cose.
Tuttavia, sarebbe troppo facile prendersela con Grillo e Casaleggio. Se il Movimento 5 Stelle ha preso così tanti voti è per il completo scollamento dalla realtà della classe dirigente italiana. Che si tratti di imprenditori, di politici o di esponenti della società civile (sic!), negli ultimi vent’anni hanno contribuito ben poco a creare un tessuto connettivo capace di comprendere le scelte prese dai governi che si sono susseguiti.
Di certo, Grillo e Casaleggio hanno introdotto un nuovo modo di comunicare, più urlato che ragionato, a cui gli altri partiti politici hanno risposto per le rime, alzando ulteriormente i toni e dando il La al deterioramento sociale dell’Italia.
In questo brodo primordiale di ignoranza e barbarie, buona parte degli Italiani hanno iniziato a credere non tanto al vero, quanto al verosimile. È il caso del signoraggio bancario, dei complotti del Bilderberg e della Trilaterale, delle scie chimiche e degli alieni a forma di cetriolo. Ed è chiaro che in un clima di questo genere le persone più vulnerabili possono facilmente trovare la risposta ai loro problemi quotidiani. Del resto, scaricare le colpe su un elemento esogeno è sempre meglio che fare un esame di coscienza. Ma cosa accade quando si passa il limite? Cosa accade quando dalla finzione si passa ai fatti? Forse è meglio non scoprirlo. Tuttavia, l’estremizzazione dei toni, delle dichiarazioni, delle campagne elettorali e della dialettica politica sono destinate ad aumentare. Homo homini lupus.
Il corto circuito informativo di cui anche noi giornalisti siamo colpevoli sta continuando. Questo maledetto clima di odio e invidia sociale che sta distruggendo l’Italia molto probabilmente andrà avanti ancora. Che si parli di crisi finanziaria o di stallo istituzionale, la classe dirigente (quel poco che rimane) non può più ignorare i segnali che arrivano. Farlo significherebbe confermare il declino, sociale ancor prima che economico, del Paese.