L’inchiesta che vi propongo oggi è condotta interamente sul web. Meglio: è condotta interamente sul social network più bistrattato, facebook. Più specificatamente: è condotta sulla mia bacheca di facebook. Compito semplice, direte voi. Altro che data journalism! Ma, vi assicuro, che avendo circa 1500 amici, il campione è ampiamente significativo. Dunque, l’inchiesta che sto per proporvi paventa, almeno nel metodo, una certa dose di scientificità.
Qualche settimana fa era il compleanno di mio fratello. 15 anni. Un “millennials” a tutti gli effetti. Testa nel pallone e cuore sempre fuori dalla classe che frequenta. Al mattino gli telefono, gli faccio gli auguri, gli ricordo che è ormai grande: insisto sul fatto che alla sua età dovrebbe iniziare a trasformare i sogni in progetti. Lui apprezza. E ringrazia. Prima che terminassi la telefonata, mi blocca: “Gerardo – mi dice – non dimenticarti di scrivermi gli auguri su facebook”. Riaggangiando il telefono, riavvolgo il nastro. E penso: abbiamo trascorso più di 10 minuti al telefono, abbiamo conversato amabilmente, ci siamo scambiati idee e consigli, nonostante i nostri lunghissimi 8 anni di differenza e numerosissimi paralleli di distanza, e la sua massima preoccupazione è che io gli scriva gli auguri su facebook? Bypasso il pensiero e salgo sul tram. Alla sera, dopo una giornata intensa a lavoro, mi ricordo del monito mattutino: “Gli auguri su facebook!”. Da buon fratello, lo accontento. Mi viene in mente un bell’aforisma di Lionel Messi, un suo idolo, e gliela posto in bacheca: “Ho cominciato a tirare calci al pallone a quattro anni, per strada, come quasi tutti in Argentina. Imitavo i miei due fratelli più grandi. E li dribblavo.” La citazione mi sembra perfetta: essere dribblato da mio fratello più piccolo è proprio quello che voglio. Il mio obiettivo è non tanto motivarlo a fare il mio stesso percorso di vita, ma, per lo meno, stimolarlo a cercare il suo, dribblandomi.
Dopo qualche settimana, un mio ex docente di Marketing, annuncia sulla sua bacheca di facebook che si è fidanzato. Lui è un uomo distinto, italo-americano, sopra la quarantina. Usa facebook per restare in contatto con i suoi studenti – rigorosamete aggiunti dopo l’esame – ed in un’ottica di long life learning con una certa regolarità posta video commerciali, annunci pubblicitari, articoli interessanti, e, appellandosi ai suoi studenti, spiega sempre qual è l’insegnamento da trarre dal suo post in bacheca. Per me la sua facebook wall è ogni volta una nuova scoperta. Connettendomi su facebook, ho l’opportunità di ampliare le mie conoscenze di marketing con “pillole” preziosissime, filtrate e spiegate da un docente univertario altamente qualificato. Quindi, quando annuncia sul social network una notizia così privata, come quella del fidanzamento, la cosa mi stupisce. Ancor di più, mi stupisce che i “mi piace” alla notizia, superino abbondantemente i 600, ossia, più di ½ dei suoi contatti aveva approvato l’engagement. Quesa cosa non accade mai per le pillole di lezioni che inserisce: se, infatti, quegli stessi amici che hanno pigiato “like” per l’avvenuto fidanzamento, lo avessero fatto per ogni post educative che inserisce, la sua pagina facebook avrebbe avuto maggior successo di una affollatissima lezione universitaria. Invece no: i suoi post sul marketing non superano i 10 “mi piace”. Così decido di scrivergli, pensando che in realtà il fatto di render pubblica una notizia privata su facebook, e soprattutto il fatto che circa il 50% dei suoi amici avesse messo “like”, fosse una nuova, più preziosa latente lezione e che, quindi, la notizia del suo fidanzamento, fosse in realtà un modo per discernere l’utenza del social network e dimostrare come il principale interesse degli utenti dello stesso sia il gossip. In un mail privata, la sua risposta è più o meno la seguente: Gerardo, la tua osservazione è azzeccatissima: le persone su facebook non chiedono il dibattito qualificato, inseguono, piuttosto, la notizia privata, i rumors, l’affaire estivo dell’amico, il pettegolezzo dell’ultimo minuto. I “mi piace” che ti hanno tanto stupito sulla notizia del mio fidanzamento ne sono la dimostrazione.
Per un attimo riconnetto le due storie. Quella di mio fratello e quella del prof. Il primo attraverso facebook è in cerca di risposte: è un adolescente che non sa bene dove sta andando; il secondo è un uomo che attraverso facebook pone delle domande: è un adulto che ha preso il mondo in mano e utilizza i social network per esprimere la sua visione. Il primo, lo ripeto, è un adolescente, il secondo è un adulto. Pur avendo la stessa radice etimologica, adolescere, il primo, l’adolescente, è un participio presente, il secondo, l’adulto, è un participio passato. Per il primo l’azione di crescere è in fase di svolgimento, per il secondo è già totalmente compiuta. Essendo in due fasi diverse dell’azione, l’impatto di quei “mi piace” sarà totalmente diverso. Il primo cercherà legittimazione del suo agire nei “mi piace” degli amici: continuerà a fare e a dire sul web, prima, e nella vita reale, poi, tutto ciò che riceve più approvazione da quella che è la sua comunità di riferimento. Con questo sistema, l’adolescente sarà costretto ad abbassare i suoi standard linguistici, a postare foto magari sempre più ammiccanti, ad apparire quello che non è. Il secondo, invece, forte di quello che è, non curerà l’approvazione dell’altri, ma continuerà a postare notizie al fine di seminare piccole chicche di sapere. Il secondo non è più un virgulto: è una pianta con solide radici e tronco fermo con autostima consolidata. Del secondo, sinceramente non mi curo, ma, vi prego, qualcuno salvi il primo.