I Paesi asiatici sono quelli dove minore è il tasso di tolleranza razziale. Almeno stando ai dati raccolti da un sondaggio del World Value Survey ed elaborati da Max Fisher del Washington Post.
La ricerca del giornalista parte da uno studio di due economisti svedesi, Niclas Berggen e Therese Nilsson, sulla relazione tra benessere economico e tolleranza. Il punto di partenza è una delle domande del World Survey, quella che riguarda le preferenze degli intervistati su chi non vorrebbero come vicino di casa.
A Hong Kong il 71 per cento ha risposto che non vorrebbe persone di un diverso gruppo etnico. La percentuale nell’ex colonia britannica è la più alta su 81 Paesi. Scrive il South China Morning Post che questa visione è contraddetta dagli esperti. I dati risalgono al 2005 in otto anni ha spiegato Paul O’Connor della Chinese University di Hong Kong la situazione è cambiata e le maggiori tensioni si riscontrano tra hongkongesi e cinesi del Continente, dai quali si vogliono distinguere per cosmopolitismo e per aver ricevuto l’influenza occidentale.
Tuttavia, aggiunge, anche a Hong Kong, più la pelle è scura più crescono i pregiudizi. Tra i Paesi considerati ricchi, dove altro è il tasso d’istruzione ed etnicamente omogenei, spicca in negativo la Corea del Sud. A essere intollerante è un sudcoreano su tre. Per capire la situazione basta ricordare gli insulti ricevuti dalla parlamentare di origine filippina, Jasmine Lee, eletta un anno fa tra le file dei conservatori e bersaglio di insulti razzisti. Colpa dell’unicità coreana, di quella “razza purissima” di cui parla Brian Reynolds Myers della Dongeso University di Pusan in un saggio sulla propaganda nordcoreana e sulle influenze che subì dal fascismo e militarismo nipponico in cui non mancano riferimenti alla superiorità razziale.
Va male anche l’India che fa registrare una percentuale oltre il 40 per cento di vicini intolleranti. Risultato criticato dal quotidiano online First Post che pur non negando i problemi del Paese, “razzisti con i neri e con gli stessi indiani del Nord-est” scrive, contesta la mappa sul stilata da Fisher perché decontestualizzata e capace di dipingere intere nazioni come razziste o liberali in un unico colpo.
Di diverso segno invece la reazione pakistana, Paese segnato da violenze religiose e inter-etniche, nella mappa del Washington Post è segnalato tra i più tolleranti. Risultati non eccellenti, segnati in rosso sulla mappa, si registrano anche nelle Filippine, in Indonesia e in Malaysia. Bene, ossia in blu, è invece Singapore, dove tuttavia all’inizio dell’anno si sono tenute manifestazioni per rivendicare la città-Stato ai singaporiani. Una piazza contro gli immigrati cui è imputato l’aumento del costo della vita.