Non ero mai entrato in un carcere. Da qualche settimana, tutti i sabato mattina, spengo il cellulare come da regolamento e varco la soglia della Casa di reclusione di Bollate per parlare di fotografia. Si chiama “Invisibile” il corso iniziato lo scorso aprile che coinvolge diciotto detenuti del terzo reparto. In realtà più che un corso è un momento di condivisione in cui la fotografia diventa un pretesto ed un mezzo per raccontarsi. Parliamo di fotografia in modo semplice lavorando sugli aspetti emotivi che un immagine può far scaturire, scattiamo in pellicola e in digitale considerando l’utilizzo della fotocamera un modo per conoscere meglio sè stessi e gli altri ad esempio attraverso un ritratto.
Ma Invisibile è anche modo per scoprire com’è nata la fotografia, è leggere un passo di un libro di Man Ray, è scoprire la genialità degli scatti di Guy Bourdin o più semplicemente imparare a caricare una pellicola in modo corretto. La fotografia all’interno del carcere non è niente più di ciò che è per tutti nella vita quotidiana: un mezzo per esprimersi e raccontare dei momenti. L’atto di catturare la realtà attraverso “un oggetto” resta un gesto magico che fa tornare improvvisamente bambini.
Nel progetto abbiamo coinvolto anche Lomography Italia, azienda conosciuta dagli appasionati di fotografia per la sua produzione di divertenti fotocamere a pellicola. Lomo ci ha supportato dando la possibilità ai partecipanti di conoscere e provare i differenti modelli disponibili sul mercato. L’entusiasmo e l’impegno dei partecipanti si percepisce (sarà l’effetto novità?), tant’è che abbiamo deciso di provare ad andare oltre le lezioni del sabato dando la possibilità ad ognuno di loro di tenere con sè un’intera settimana una fotocamera analogica per avere il tempo e il modo di raccontare la propria quotidianità. Rimane per ora un’ipotesi in attesa dell’approvazione e autorizzazione da parte del Direttore del carcere. Il materiale raccolto diventerà un’esposizione. Questa volta visibile.