Asia FilesMahasen, il ciclone dimenticato

"Siamo piuttosto fortunati che il ciclone Mahasen non abbia procurato i danni che temevamo ci avrebbe procurato. Ma questa non è una buona ragione per pensare che tutto rimanga come prima che il ci...

“Siamo piuttosto fortunati che il ciclone Mahasen non abbia procurato i danni che temevamo ci avrebbe procurato. Ma questa non è una buona ragione per pensare che tutto rimanga come prima che il ciclone passasse sul Bangladesh”.

Così scriveva domenica scorsa in un editoriale il quotidiano bangladese Daily Star, raccontando la situazione all’indomani del passaggio del ciclone su alcune aree costiere del paese dell’Asia meridionale. Un evento che, sebbene non abbia fatto più di 17 vittime in Bangladesh, ha devastato 15 mila case e danneggiato altre 44 mila abitazioni. Trecento mila persone, proseguiva l’editoriale, sono a tutti gli effetti “vittime dirette” del ciclone. E ora, a tutti loro bisogna ridare una casa e condizioni igieniche dignitose. Non c’è tempo da perdere.

L’emergenza Mahasen, di cui nei giorni scorsi abbiamo cercato di dare conto su China Files, ha coinvolto la popolazione e i governi di Bangladesh, Birmania e solo marginalmente India. Un’emergenza iniziata a metà della scorsa settimana: il 15 maggio scorso, centinaia di migliaia di persone tra Bangladesh e Birmania, avevanno ricevuto l’ordine di evacuazione per l’arrivo del ciclone nella zona costiera tra i due paesi.

L’area si trova ad un’altitudine al di sotto del livello del mare ed è a rischio di inondazioni. Sempre in quell’occasione le Nazioni Unite avevano avvertito che più di otto milioni di persone sarebbero potute essere in pericolo di vita a causa delle violente piogge portate dal ciclone che abbattutosi appena due giorni dopo. Dhaka ha tempestivamente proceduto all’evacuazione di alcune centinaia di migliaia di persone verso rifugi sicuri, mentre a stretto giro il governo di Naypyidaw dava conto dell’evacuazione di 166 mila persone.

L’arrivo di Mahasen ha poi avuto un altro effetto: ha riportato all’attenzione del mondo la difficile situazione in cui vive una delle minoranze etniche musulmane della Birmania: i rohingya di religione musulmana. Il paese del premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, attualmente leader dell’opposizione democratica, dal 2011 ha avviato, sotto un governo semi-civile, riforme democratiche e politiche di apertura economica. Tuttavia, rimane ancora diviso sul piano etnico-religioso: i circa 800 mila rohingya birmani continuano a essere trattati come migranti illegali e si vedono così negata la cittadinanza di Naypyidaw.

Domenica scorsa la polizia di Teknaf, una cittadina del Bangladesh al confine con la Birmania, ha rinvenuto 31 cadaveri, tra cui 11 bambini e 6 donne, identificati come birmani. Avevano 100 mila kyat con loro (circa 100 euro) e i loro vestiti erano tipici dello stato di Arakan in Birmania, affacciato sul Golfo del Bengala.

Lunedì, il giorno prima dell’evacuazione, proprio a largo della capitale di Arakan Sittwe, si era consumata una tragedia. Un’imbarcazione con a bordo 100 musulmani di etnia rohingya in fuga dai campi profughi, in previsione dell’arrivo del potente ciclone, si rovescia. Bilancio dell’incidente, secondo l’agenzia di stampa birmana New Light, 50 dispersi. I 31 corpi ritrovati sulla spiaggia di Teknaf erano tra loro.

L’arrivo del ciclone Mahasen ha coinciso con l’ennesimo lutto per uno dei popoli più perseguitati della storia contemporanea: appena l’anno scorso, in seguito all’esplosione di tensioni etniche con la maggioranza buddhiste, i rohingya hanno ottenuto ospitalità in campi profughi gestiti dall’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite.

Se c’è una cosa che il tornado di Oklahoma City ha dimostrato è che cicloni, tornado, terremoti e mareggiate colpiscono ovunque: Europa, America e Asia, Primo e Terzo mondo indistintamente. Ma molto spesso a fare notizia sono le vittime di una sola delle due parti.

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