Michele Sindona. Aldo Moro. Il golpe Borghese. Piazza Fontana. Roberto Calvi. Salvo Lima. Giorgio Ambrosoli. La P2. Mino Pecorelli. Dalla Chiesa. Capaci. Le tangenti Lockheed. La stazione di Bologna. Il Piano Solo. La Mafia. Gladio. I servizi segreti. La tensione. Eccetera.
Ripercorrere la vita e la carriera politica di Giulio Andreotti significa ripercorrere la storia del nostro paese. Una storia drammatica, fatta di segreti, di omicidi, di trame oscure, di stragi, di misteri mai risolti. La storia di una democrazia fragile. Non intendo dare qui un giudizio storico che dovrebbe basarsi sui fatti; d’altronde quei fatti, quelle vicende, non sono mai stati chiariti. Quelle risposte il nostro paese non le riceverà mai.
Non voglio soffermarmi sulle accuse, sulle condanne, sulle assoluzioni, sulle prescrizioni. Vorrei solamente dire addio a chi, per quasi settant’anni, è stato il simbolo di un potere che ha lentamente logorato il nostro paese, un potere dai contorni opachi, misteriosi. Un potere irresponsabile di fronte ai cittadini elettori su cui doveva esercitarsi. Un potere pronto a tutto, a qualsiasi strategia, pur di autolegittimarsi.
E allora ti dico addio, Giulio; porterai con te tutte le risposte a quei grandi e piccoli misteri italiani che per anni hanno macchiato di sangue la nostra Repubblica, sagomandola col Rosso e col Nero, ma lasciandola carta Bianca per l’azione di un potere responsabile solo di fronte a se stesso e ad altri inconoscibili poteri.
Addio Giulio. Un giorno Di Maggio raccontò del tuo bacio con Totò Riina. Un giorno di maggio noi raccontiamo del tuo bacio con la morte.
“Livia, sono gli occhi tuoi pieni che mi hanno folgorato un pomeriggio andato al cimitero del Verano. Si passeggiava, io scelsi quel luogo singolare per chiederti in sposa – ti ricordi? Sì, lo so, ti ricordi. Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea. Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te, gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità. La responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984, e che hanno avuto per la precisione 236 morti e 817 feriti. A tutti i familiari delle vittime io dico: sì, confesso. Confesso: è stata anche per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve. Lo stragismo per destabilizzare il Paese, provocare terrore, per isolare le parti politiche estreme e rafforzare i partiti di Centro come la Democrazia Cristiana l’hanno definita “Strategia della Tensione” – sarebbe più corretto dire “Strategia della Sopravvivenza”. Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Giovanni, Mino, il caro Aldo, per vocazione o per necessità ma tutti irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch’io.”
(“Il Divo”. Toni Servillo diretto da Paolo Sorrentino.)