Undici Paesi. Due continenti. Tornare in Europa senza prendere l’aereo.
Il viaggio di un lercio raccontato in un blog semiserio, lungo tre mesi.
Un inizio: Kuala Lumpur, Malesia.
Negozio di hijab a Chow Kit, Kuala Lumpur.
In Malesia l’islam è religione di stato, praticato dal 53% della popolazione. Buddismo, induismo e cristianesimo sono le altri maggiori confessioni praticate.
I 28 milioni di abitanti del paese appartengono a tre gruppi etnici principali: malesi, cinesi e indiani.
La sua cybercapiale capitale Kuala Lumpur è stata fondata nel 1857 da ottantasette cinesi alla ricerca di campi per l’estrazione del petrolio. Un manipolo di avventurieri che si installano all’incrocio dei fiumi Klang e Gombak, una «confluenza fangosa» – così si traduce il nome della città – di terra umida e malarica che nel giro di un mese falcia quasi tutti i suoi pionieri. Restano in diciassette. Un pugno di uomini e una terra che vomita petrolio sono il preambolo a una storia di soldi e di sangue. Ben presto i pozzi passano nelle mani di bande di fuorilegge cinesi che s’affrontano, s’ammazzano. È il caos. Così, come in altre regioni del Paese, il sultano decide di eleggere un procuratore locale, il kapitan china, nel tentativo di garantire la convivenza pacifica. Il piano ha successo. Una capitale è stata fondata.
Torri Petronas, Kuala Lumpur.
I quattrocentocinquantadue metri d’acciaio, vetro e ambizione delle torri Petronas sono i templi d’argento di questa capitale. La coppia di grattacieli più alti del mondo ha la regolarità gelida di una pietra. A centosettanta metri da terra una passerella vetrata, di memoria cinematografica – Entrapment – , permette di passare da un edificio all’altro sospesi sopra il pigia pigia della città. Costruite su un progetto dell’argentino Cesar Pelli, ogni torre inanella cinque livelli sovrapposti che riprendono simbolicamente i cinque pilastri dell’islam.
Batu Caves, Kuala Lumpur, capolinea del treno suburbano.
Il Thaipusam è un festival indù che si svolge ogni anno in diversi Paesi del Sud-est asiatico tra gennaio e febbraio. La cerimonia di Kuala Lumpur, che chiude un mese di preghiere e di privazioni, è un’orgia di colori, preghiere, schizzi di latte rituale e sangue. Una processione lunga quindici kilometri parte dal tempio Sri Mahamariamman a Chinatown per arrivare in cima ai trecento gradini che conducono alle Batu Caves, all’estremità settentrionale della città.
Il treno per Hat Yai, Thailandia del sud parte da Kuala Lumpur Sentral alle 22. Un primo cambiamento già da domani mattina: fine dell’alfabeto latino, almeno fino all’Azerbaijan.