È rientrato dalla porta di ingresso della politica italiana come se nulla fosse successo negli ultimi mesi. Come se il 25 febbraio scorso avesse vinto le elezioni. Come se i 55 giorni di passione per la formazione del governo e per le elezione del Capo dello Stato fossero stati soltanto un brutto sogno. In questo modo l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, colui che avrebbe dovuto far nascere il «governo del cambiamento» con i pentastellati, colui che ha guidato la «ditta» dal 2009 fino a poche settimane fa, è rientrato dalla porta di ingresso. E lo ha fatto come avrebbe potuto fare il Cavaliere di Arcore, o, se preferite, l’acerrimo avversario Matteo Renzi. Prima un’intervista di dieci minuti circa in uno dei talk show più seguiti, Ballarò. E poi inanellando una serie di interviste nei giornali di carta. Nulla di nuovo, ma un cliché che conosciamo. E la paginata di oggi sul Corsera è la rappresentazione plastica di un personaggio politico sconfitto dalle urne, che ancora ritiene di essere il leader del centrosinistra e del Partito democratico.
Ancora oggi pensa che «parlare di sconfitta quando abbiamo un presidente del Consiglio è piuttosto curioso». Bersani è pienamente convinto che «il governo del cambiamento è ancora prospettiva possibile», e molto presto – sottolinea in tutte le uscite – gli chiederemo tutti quanti, osservatori e non, perdono per le critiche mosse in queste settimane. Critica il correntismo e le riunioni di Matteo Renzi, e cosa fa? Riunisce (improvvisamente) i parlamentari d’area e stila un documento “anti-Renzi” per impedire al sindaco di Firenze di scendere in campo. Fa pressioni sul neo segretario Guglielmo Epifani per eleggere uno dei suoi uomini, Davide Zoggia o Nico Stumpo, presidente della commissione congressuale per eterodirigere il rinnovamento dei vertici del Nazareno. Insomma un atteggiamento che non ci saremmo mai aspettato da chi critica i personalismi e da chi vuole «un partito che sia uno strumento al servizio della società civile, non uno spazio dove agiscono miniformazioni personalizzate». Perché l’atteggiamento di queste settimane danneggia la «ditta» e il governo di «servizio», che ha giurato di sostenere «fino all’ultimo secondo».
Twitter: @GiuseppeFalci