Come ormai tutti sanno, la presidenta della Repubblica Dilma Rousseff ha pronunciato ieri un discorso televisivo con l’obiettivo di riportare il Brasile alla calma nel momento in cui il Paese ha tutte le tv del mondo puntate addosso a causa del gioco del calcio.
Dilma ha dedicato i primi tre minuti del suo discorso (lungo 9 minuti, dunque un terzo) a condannare gli atti di violenza della solita minoranza che cerca di screditare le manifestazioni pacifiche.
Come si sa, nessun discorso televisivo alla nazione è mai stato pronunciato per condannare la violenza che tutti i giorni si abbatte sui brasiliani delle periferie, gli indios, i contadini, gli estrattori di caucciù, i preti giurati di morte dai disboscatori, che spesso sono padroni di terre e talvolta hanno loro rappresentanti nei governi locali o in quello centrale.
Questi brasiliani muoiono nel silenzio e nell’indifferenza generale: prima di tutto della politica. La politica non si pronuncia, perché la politica dimostra di non avere più risposte da dare. Chi comanda è il l’interesse economico. In questo caso ne abbiamo un esempio lampante.
Qualche non ipocrita ha detto: il calcio è più importante delle manifestazioni. Parole assai criticate, ma io penso che siano state finalmente (paradossalmente?) parole non ipocrite.
Poiché è davvero così: è più importante. Non succede anche con il razzismo negli stadi italiani? Quando accadrà sul serio che una partita di calcio di serie A verrà interrotta e mai più ripresa a causa degli insulti razzisti? Per ora non è mai accaduto.
Il calcio è una metafora. E’ la metafora di ciò che non può essere fermato. C’è chi obbietta che non è vero, perché le manifestazioni di questi giorni hanno provocato la retromarcia degli aumenti dei prezzi dei mezzi pubblici. Il problema è che i mezzi pubblici in Brasile sono già, da anni, ben oltre, molto più cari di quanto dovrebbero essere, lo sono in maniera surreale: il biglietto dovrebbe costare un terzo meno di quello che costa, per essere in linea con le condizioni di vita di chi lo usa, cioè i lavoratori e gli studenti (gli anziani non pagano, ma finiscono stritolati nei convogli pieni fino all’inverosimile, fino allo svenimento collettivo).
Tra parentesi: i mezzi pubblici non sono pubblici, in Brasile: sono compagnie private che vendono il servizio in nome pubblico, ma il lucro è privato.
Rousseff promette ora di prelevare risorse dal petrolio e versarle alla salute pubblica. Ma tutti sanno che in Brasile sono decenni che le assicurazioni private beneficiano di grande spazio di manovra per limitare gli investimenti al settore pubblico, a cui vanno gli avanzi. Promette medici stranieri: ma il Brasile ci sono già migliaia di medici boliviani, colombiani, argentini, uruguaiani, che lavorano in ospedali sperduti in Amapà, Tocantins, Parà, Bahia, Pernambuco, Roraima, in strutture fatiscenti dove gli aghi delle siringhe si spezzano al primo contatto con la pelle e i lacci emostatici si rompono appena gli si fa il nodo. Tutti sanno che a San Paolo, o Rio, o Salvador, esistono aree dismesse dove sono ammassate centinaia di ambulanze ricoperte di polvere, scassate, mai usate: comprate a prezzi gonfiati e poi lasciate marcire per assenza di investimenti per farle circolare. Anni fa – al governo c’era Lula – venne istituita una commissione d’inchiesta proprio su questo. Si chiamava CPI (Commissione parlamentare d’inchiesta) “das sanguessugas”, delle sanguisughe. Un nome piuttosto azzeccato e se vogliamo drammaticamente allegorico. L’allegoria ha strabordato nella realtà: adesso la gente in Brasile è scesa in strada perché si è raggiunto il limite del sangue che gli può essere succhiato.
Eppure Madame Politica era impreparata anche su questo. La politica è ormai una specie di robot cieco usato dal capitale, parola che taluni giudicano ideologiaca, e allora diciamo: usato dal profitto, mandato dal profitto, diciamo persino da Mr Profitto, a interpretare il suo scomodo ruolo in prima linea – mentre, come ha scritto benissimo John Berger, “il capitale tiranneggia dall’off-shore”.
E così la politica è diventata cieca sia verso le esigenze dei cittadini ma anche verso le loro eventuali reazioni. La politica si è talmente rintronata con le sue stesse parole vuote, “crescita”, “crisi”, “riforme”, da non saper più distinguere, come è accaduto in Brasile, tra un corpo inerte e uno invece pronto a reagire.