Partecipazione attiva, questa sconosciuta

Per saperlo non serve una laurea tre più due in lettere antiche: tra talk show politici e carta stampata abbiamo imparato tutti che crisi deriva dal greco e come un mantra ci si ripete che signific...

Per saperlo non serve una laurea tre più due in lettere antiche: tra talk show politici e carta stampata abbiamo imparato tutti che crisi deriva dal greco e come un mantra ci si ripete che significa occasione, opportunità, bivio, scelta. Il significato autentico non ha necessariamente un’accezione negativa e la cosa, si suppone, dovrebbe tranquillizzarci. Se però ci chiediamo cosa accadrebbe se l’opportunità in questione venisse sprecata, se nel momento della verità, nel momento critico appunto, si facesse la scelta sbagliata, la questione si complica. La responsabilità di questa decisione dovrebbe essere percepita con tutto il suo peso.

Da più di tre anni viviamo in uno Stato di Emergenza, una dimensione di crisi globale, europea e nazionale tale da necessitare ben due governi del Presidente. I risultati delle urne dello scorso Febbraio invece di appianare, rendere più lineari le divisioni che attraversano la società le hanno riprodotte e, per molti versi, accentuate. Hanno creato uno scenario che ci somiglia moltissimo. Per una volta sarebbe un interessante esercizio di stile guardare al parlamento non come un riflesso distorto che accentua i nostri peggiori difetti ma, innanzitutto, come uno specchio. Quel caos siamo noi. Tra le nostre urla di rabbia è contenuta anche l’astensione, frattura a sua volta, forse la più vivida e pericolosa. Ad oggi si asterrebbero da un eventuale voto politico il 31,8% degli aventi diritto. Sommando schede bianche e nulle, si sfiorerebbe la metà della popolazione. Era la disillusione che nella politica non ha trovato argini, era la frustrazione che si è protratta troppo a lungo, era la mancanza di risposte concrete, era la mediocrità di una classe dirigente. Era, insomma, una rabbia motivata che con queste elezioni è degenerata nel rifiuto di informarsi, di prendere parte, di votare e partecipare. È diventata quella che Gramsci chiamava indifferenza

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Lo Stato di Necessità e il susseguirsi di terapie d’urto sull’economia prima finanziaria con Monti e poi reale con Letta ha deresponsabilizzato moltissimo noi cittadini. Ha dato un colpo di spugna al nesso tra il cattivo governo di oltre un decennio e le nostre scelte di voto. Ha anche cancellato la responsabilità degli elettori del PD. Super favorito ed unico partito in grado di partorire una maggioranza stabile, il voto del popolo delle primarie ha scelto la vocazione minoritaria. Si è propeso per un partito autoreferenziale e chiuso in s’è stesso, incapace di raggiungere quel consenso trasversale che, tanto più in tempo di crisi, è il fondamento della democrazia. Tutto questo per dire che, ancora una volta, siamo noi i mandanti di uno stato di immobilismo e decadenza capace di risolversi solo con larghe intese squisitamente artificiali. Quella che era una crisi economica è maturata in una crisi politica, un anno zero della democrazia. Eppure Italia significa eccellenza in moltissimi campi: è tra i primi esportatori mondiali ed è nota nel mondo per creatività ed ingegno, doti preziose nell’economia dei servizi del nostro tempo. Ha risorse che tutto il mondo le invidia ed è il secondo paese più ricercato su Google. Sembra che all’estero ci amino molto più di quanto non facciamo noi stessi. Giganti inconsapevoli, ci trasciniamo un po’tutti nello scenario che Paolo Sorrentino ha recentemente dipinto ne “La Grande Bellezza”: non siamo all’altezza della nostra storia e non sappiamo sfruttare il nostro potenziale. Ammettiamolo, per noi è difficile staccarci dall‘ineffabile sicurezza del „se solo volessimo..“. Dalla consapevolezza di un grande potenziale non sfruttato. Ma come dice Vittorio Colao, AD Vodafone: “Esiste un’opportunità per risollevare il paese, ma dobbiamo essere molto onesti: è sostanzialmente l’unica chance e potrebbe essere l’ultima. L’alternativa è il declino.” La „fase due“ del governo Monti, con il famigerato decreto „Crescitalia“ ha catalizzato (e in parte deluso) grandi aspettative. Il governo Letta è ora apprezzato da quasi il 60% degli elettori e per il suo “Decreto del Fare“, che si occupa di riforme fondamentali, ci sono aspettative altrettanto alte. In compenso, sappiamo che anche questa è una parentesi e per noi cittadini il tempo della responsabilità tornerà presto. Con una novità: l’esito delle prossime elezioni ci farà scontare fino infondo le nostre scelte.

Senza la materia prima del consenso popolare e dell’impegno civile nessuno dei decreti sopra menzionati ci può salvare, n’è costringere a cogliere le opportunità di riscatto. Ma un potenziale non è un diamante e certamente non è per sempre. Siamo la fidanzata d’Europa,, l’eterna promessa, “Girfriend in a coma” come ci ha definiti la spietata dichiarazione d’amore di Bill Emmott http://youtu.be/k4Jovv2vrOc

Lo ha detto bene Matteo Renzi con una battuta : “quando cominciano a definirti risorsa, hai un problema.” Così la domanda diventa: quanto dura un potenziale? Sia per il politico in questione che per il nostro paese la risposta è univoca: fino alle prossime elezioni.

Marta Fogliacco

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