Premessa estetica: pure a noi non piacciono i tessuti maculati, leopardati o giaguarati che siano, e confessiamo volentieri la nostra inclinazione passé.
E basterebbe questo motivo per intuire il nostro giudizio non solo su Briatore ma sull’ancor peggiore briatorismo, ovvero l’esaltazione, mediatica, estetica, culturale del gusto “kitsch purchè costoso ed ostentativo”.
Detto questo, registriamo il presagio dell’ex segretario del PD Bersani: se Renzi diventa segretario del PD, si corre il rischio che vi si iscriva Briatore.
Ora, a noi il sindaco fiorentino non è che garbi moltissimo. Ma vedevamo in lui, e nella sua corsa per le primarie del PD nell’autunno scorso, impersonificata quella che schumpeterianamente potremmo definire la necessaria “distruzione creatrice”, quel colpo di maglio, o quella mutazione genetica, che avrebbero forse evitato il pantano in cui oggi siamo costretti, contro voglia, a grufolare.
Le cose sono andate come dovevano andare: le primarie le ha vinte Bersani, le elezioni politiche le ha vinte non Grillo, ma il Cavalier Miracolo.
E ci troviamo daccapo.
La contromossa degli apparatčik bersaniani è facile, quanto intuibile, dati i precedenti: sabotare le regole e vanificare il senso delle primarie.
Perché, in realtà, al partito democratico la democrazia piace poco. Tanto che esulta pur quando vince grazie alla malattia della democrazia, l’astensione, ovvero alla mancata partecipazione al voto, invece di preoccuparsi del significato e del messaggio implicito della disaffezione degli elettori. O meglio: della sfiducia di questi nei confronti della politica, anche se onestà vorrebbe che si parlasse, più propriamente, di sfiducia nei confronti della classe politica. Ma queste son distinzioni da pedanti.
Il prossimo segretario del PD, in sostanza, dovrà essere scelto dagli iscritti e non dagli elettori.
Ci tocca far ricorso persino a Lord Keynes: il riabilitato Maynard, infatti, amava ricordare che “se volete scommettere su chi vincerà il concorso di bellezza, non scommettete su la candidata che vi piace di più, ma su quella che piacerà di più agli esaminatori”.
E qui viene il bello. Pare di capire che ai democratici italiani questa regola elementare non vada proprio giù. Perché altrimenti ci troveremmo persino un Briatore qualsiasi a sostenere il Partito Democratico, non fosse altro perché il geometra di Verzuolo è noto collezionista di bellezze.
A parte i problemi estetici, sui quali ci siamo chiariti in apertura, quello che è in giuoco e ben altro.
E’ l’idea stessa di democrazia che l’ex leader del Pd ha in mente.
Ci pare, sommessamente, che Bersani interpreti la democrazia come l’avvocatino di Arras, al secolo Maximilien de Robespierre che, nel suo rapporto sui Principi di morale politica che devono guidare la Convenzione nell’amministrazione della Repubblica, dichiarò di voler ”sostituire la morale all’egoismo, la probità all’onore, i principi agli usi, il disprezzo del vizio al disprezzo della sventura, la fierezza all’insolenza, la grandezza d’animo alla vanità”. A simili intendimenti verrebbe da rispondere, restando in Francia, “vaste programme, Monsieur” come pare il Generale de Gaulle replicò ad un suo sostenitore che invocava, come programma, “a morte gli imbecilli”!
Perché, e questo è il punto, per comprendere come funziona una democrazia, e per cercare di vincere le elezioni, caro Bersani, bisogna fare i conti con la realtà e non con l’utopia, pensando e guardando agli uomini in carne ed ossa e non al mito, tremendo e pericoloso, dell’uomo nuovo.
Lasci quindi perdere l’avvocatino di Arras, e si riprenda in mano la vecchia Favola delle Api di un medico olandese, Bernard de Mandeville, che insegnò molto prima di Robespierre, come “la virtù da sola non può far vivere le nazioni nello splendore; coloro che vorrebbero far tornare l’età dell’oro insieme con l’onestà debbono accettare le ghiande”.
Non fosse altro perché alle ghiande stiamo già correndo il rischio di arrivarci speditamente.