L’11 giugno uscirà Il 35 maggio di Cecilia Attanasio Ghezzi, caporedattrice di China Files, per la collana Memory Pills di Beccogiallo. Qui un estratto.
Oggi in Cina è il 35 maggio. Una data irreale che serve a celare dietro un muro di silenzio e oblio il 4 giugno 1989, data del massacro di Tian’anmen. Come ogni anno in questo giorno, Pechino diventa una città cieca, sorda e muta.
«Copri gli occhi, fai finta di non vedere. Copri le orecchie, fai finta di non sentire. La verità è dentro, il dolore nel petto. Quanto ancora dobbiamo sopportare, quanto ancora dobbiamo stare in silenzio?! Se le lacrime possono lavare la polvere, se il sangue può essere scambiato con la libertà, domani ascolteremo l’urlo di oggi, il mondo guarderà le ferite della storia!»
Con queste parole un utente del web cinese ricorda via Twitter l’importante anniversario di uno degli episodi più bui della storia contemporanea cinese.
Nella notte tra il 3 e del 4 giugno di 24 anni fa, l’esercito popolare di liberazione apriva il fuoco sui manifestanti riuniti nella grande piazza del centro di Pechino, proprio di fronte all’ingresso della Città Proibita, sovrastato dal ritratto di Mao. Di cifre ufficiali non ce ne sono: si parla di duecento vittime accertate, come di migliaia. Ma, come ogni anno, oggi a Pechino non ci sarà nessuna commemorazione di quel giorno e dei suoi caduti.
In pochi provano a far sentire la propria voce al di fuori della Rete, mentre il ricordo di quei giorni – come scrive Nicoletta Pesaro su China Files – è ormai “ritualizzato” anno dopo anno, nell’«urgenza di non dimenticare». Un bisogno che si ritrova forte nelle Elegie del Quattro giugno del Premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo.
Aspettano, sì
Aspettano che il tempo tessa raffinate menzogne
Aspettano l’attimo in cui diventeranno belve
Fino a che
le dita diverranno artigli
gli occhi canne di fucili
i piedi diverranno cingoli
l’aria diverrà un ordine
È qui
finalmente è qui
l’ordine atteso per cinquemila anni.
Ci sono le madri di Tian’anmen, donne che hanno perso i propri figli durante la repressione delle manifestazioni del 4 giugno ’89, oggi costrette agli arresti domiciliari sorvegliate dalle forze dell’ordine. Chiedono a gran voce che venga aperta un’inchiesta su quei fatti e consigliano a Xi Jinping, il nuovo presidente della Repubblica popolare, di non “seguire i passi” dei suoi predecessori Jiang Zemin e di Hu Jintao. «Hanno perso dieci anni ciascuno», impedendo qualsiasi azione che potesse fornire cifre precise sui morti, sugli arrestati e su quelli costretti a fuggire dopo Tian’anmen.
C’è poi Bao Tong, il funzionario più alto in grado a essere destituito dopo i fatti del 4 giugno. La Cina deve riflettere sugli eventi di quel giorno se vuole progredire, ha spiegato Bao al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post. Non solo: il 4 giugno, come già fu per la Rivoluzione culturale iniziata nel 1966, va ripudiato. E così come la figura di Mao, anche quella di Deng Xiaoping, successore del Grande Timoniere e artefice delle riforme e dell’apertura al mercato, va archiviata. Oggi la Cina deve guardare avanti e, secondo Bao, la messa a tacere dei dissidenti non ha fatto che produrre corruzione, sfruttamento e mancanza di riespetto per le leggi.
Stessi motivi per cui gli studenti protestavano in piazza Tian’anmen. Studenti che, tuttavia, «Rimasero all’interno di una battaglia elitaria, destinata a fallire». Lo sottolinea anche Fred Engst, oggi docente di Economia alla University of International Business and Economics di Pechino che China Files ha raggiunto in questi giorni.
Engst, affronta il tema dell’anniversario di Tian’anmen dal punto di vista della classe operaia. Nel 1989, spiega, in piazza c’erano anche gli operai e chiedevano un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Allora, «gli operai cinesi avevano ancora una forte coscienza di classe, si sentivano ancora i protagonisti della vita politica. Dopo il 1989 capirono di non esser più la classe che governava il paese».
Un tema che oggi ritorna di strettissima attualità. Proprio alla vigilia dell’anniversario, un incendio ha devastato una fabbrica di pollame a Dehui nella regione nordorientale del Jilin. Sarebbero 120 gli operai rimasti intrappolati nelle fiamme. Ma oggi in Cina è il 35 maggio. E anche ai parenti delle vittime del rogo di Dehui è proibito accendere una candela per le loro anime.