La prima testa a saltare nell’affaire Shalabayeva è quella del capo gabinetto del Ministero dell’Interno, Giuseppe Procaccini. Responsabilità tutte sue? Ministro esente?
No, perché anche se veramente sia Procaccini, che avrebbe stabilito il primo contatto con l’ambasciatore kazako in Italia, sia il capo della Segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza Alessandro Valeri (che andrà in pensione tra due mesi), due eminenza grigie al Ministero di Alfano, ritengono di non informare il ministro di quel che succede in quelle ore significa che lo stesso Alfano ha tutto tranne il controllo del dicastero per cui opera.
Non esistono strumentalizzazioni di sorta sul caso. Un ministro che viene scavalcato nelle sue funzioni dai suoi stessi funzionari, senza essere informato (e mai saremo sicuri di questa circostanza) delle mosse compiute, non può essere un ministro in grado di dirigere un ministero. Non c’entra il volere o meno la testa del governo Letta, di Alfano o di chicchessia.
Tanto che tutta la vicenda si consuma in un momento di vuoto e caos istituzionale: mancava un capo della Polizia in quei giorni, come abbiamo ricordato qui su Linkiesta, e di questo vuoto uno tra i maggiori responsabili non può che essere il ministro stesso. Uno dei ‘papabili’ era proprio Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma, appoggiato nei giorni caldi del totonomi proprio da gran parte della compagine Pdl. A giochi fatti però l’incarico andrà ad Alessandro Pansa e Pecoraro continuerà il suo lavoro di prefetto, dopo aver messo materialmente la firma sul provvedimento di espulsione di Shalabayeva e figlia. Il nome di Pecoraro non arriva sulla poltrona più alta della Polizia di Stato anche per questo motivo? Ah, saperlo. Perché fosse andato lui, a quest’ora, probabilmente avremmo un capo della Polizia dimissionario.
E anche il continuo affermare che “formalmente tutto è stato corretto”, potrebbe tranquillamente essere messo in discussione adesso. Da cosa? Dal permesso di permanenza in Italia di Shalabayeva rilasciato non da una autorità a caso, ma da quella kazaka: scadenza 1 giugno 2013.
Alfano riferirà questa sera alle 18 in Senato sulla vicenda
Twitter: @lucarinaldi