BelfagorChi sono io per giudicare? Il papa sui gay

«Non ricorrendo contro la decisione del giudice nel contenzioso amministrativo sul matrimonio di persone dello stesso sesso, ha mancato gravemente al suo dovere di governante e di custode della leg...

«Non ricorrendo contro la decisione del giudice nel contenzioso amministrativo sul matrimonio di persone dello stesso sesso, ha mancato gravemente al suo dovere di governante e di custode della legge». (Comunicato ufficiale del 26 novembre del 2009 contro il governatore di Buenos Aires Mauricio Macri, reo di non avere fatto ricorso contro la sentenza sul matrimonio gay).

Così aveva parlato il vescovo Bergoglio. Sul volo aereo che lo riporta dal Brasile al Vaticano, parlando dei gay, il Papa ha sorpreso tutti dicendo “Chi sono io per giudicare”. Un’altra “prima volta” di questo Pontefice. Ecco la dichiarazione:

«Si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato nessuno che mi dia la carta d’identità, in Vaticano. Dicono che ce ne siano. Il problema è fare lobby di qualsiasi tendenza: lobby politica, lobby massonica, e anche lobby gay. La lobby gay non va bene, perché non vanno bene le lobby. Mentre se una persona è gay ed è di buona volontà, chi sono io per giudicare? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli, il problema è fare lobby: di questa tendenza o d’affari, lobby dei politici, lobby dei massoni, tante lobby… questo è il problema più grave. Non si devono discriminare o emarginare queste persone, lo dice anche il Catechismo. Il problema per la Chiesa non è la tendenza. Sono fratelli. Quando uno si trova perso così, va aiutato e si deve distinguere se è una persona per bene».

Il commento di Vito Mancuso (ADNkronos)

Le parole di Papa Francesco sull’omosessualità “non rappresentano una svolta copernicana né un sovvertimento, ma hanno una dimensione innovativa per lo stile con cui sono state pronunciate e in generale per il desiderio di chiarezza e rinnovamento che questo Papa sta portando avanti, tratto fondamentale di questo primo periodo di pontificato”.

E’ il commento del teologo Vito Mancuso, che parlando all’Adnkronos, si dice “colpito dalla trasparenza e dall’assoluta libertà con cui sono state dette, cosa che che probabilmente altri pontefici non hanno voluto dimostrare”. Dunque, secondo Mancuso, docente di Storia delle dottrine teologiche all’Università di Padova, “non siamo al cospetto di una svolta copernicana né di un sovvertimento. Non c’è nulla di tutto questo”, sostiene. Sottolineando che “si va sempre più affermando un tratto che collega Bergoglio a Roncalli, cioè questa umanità benevola, umile e al contempo arguta, che fa sì che tutte le sue parole immediatamente passino come innovative, rivoluzionarie, diverse, anche quando di per se stesse non lo sono”. E ancora: “Se andiamo a vedere bene, queste parole non contengono nulla che Benedetto XVI non avrebbe trascritto. E’ chiaro – spiega – che le persone gay in quanto tali non vanno condannate, non lo sono mai state da parte del magistero recente”.

Secondo Mancuso, “ci sarà chi dirà che le parole di papa Francesco sono innovative, che costituiscono uno strappo rispetto alla situazione precedente. Saranno probabilmente quelle persone che vogliono che questo Papa vada avanti nelle riforme auspicate e costituisca uno strappo rispetto al papato precedente ma anche quello di Giovanni Paolo II. Al tempo stesso – sostiene il teologo – ci sarà chi dirà che Francesco non fa nient’altro che ribadire la dottrina della Chiesa, non a caso ha citato il catechismo. Ovvero ‘tanto rumore per nulla’, niente di innovativo perché l’attenzione per la persona gay da un lato e la condanna per gli atti di amore omosessuale dall’altro sono stati da sempre presenti. Dunque il problema si colora in base alla prospettiva e alle attese di chi parla”.

“Penso – prosegue – che Francesco stia conquistando la fiducia e la simpatia dei cuori, cosa che non è riuscita per nulla a fare Benedetto XVI. Ascoltandolo anche il giornalista o la persona comune crea immediatamente quel flusso di empatia per cui le parole dette assumono una coloritura particolare. E in un certo senso – spiega – le cose tradizionali appaiono innovative: questa è la grande ‘magia’ entro cui si sta muovendo questo pontificato. Vediamo se riuscirà a far sì che questa carica di empatia si trasformi in atti e decisioni concrete, cosa che ad oggi non è avvenuto”.

Gian Enrico Rusconi si mostra decisamente scettico sulla prospettiva di fondo:

… Nel contesto del discorso di Papa Francesco c’è per altro un passaggio allarentemente innocuo: “Non abbiamo ancora fatto una teologia della donna”. Già. Questo è il punto che mette alla prova la benevola pastoralità del vescovo di Roma. Pensare teologicamente vuol dire anche saper distinguere i condizionamenti culturali, etno-antropologici della società in cui è apparso Gesù di Nazaret e il suo messaggio teologico (“parola di Dio”). Qui aspettiamo ancora la Chiesa cattolica, dopo le scelte già fatte da altre Chiese cristiane. Conosciamo benissimo l’obiezione cattolica secondo cui le diverse Chiese cristiane hanno una concezione diversa del ministero sacerdotale. Ma questo non è a sua volta un alibi? Non credo comunque che Papa Francesco entrerà in questo campo. (La pastorale c’è, la teologia non ancora, La Stampa 30 luglio 2013)

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