Il “Nuclear Emergency Tour” di Greenpeace in Corea del Sud è iniziato ieri con l’arrivo nelle acque della penisola della Rainbow Warrior III. Gli attivisti dell’organizzazione ambientalista cercheranno nelle prossime settimane di sensibilizzare l’opinione pubblica del Paese sul rischio “che un disastro in stile Fukushima possa accadere anche in Corea del Sud per i problemi nella sicurezza delle centrali”.
La questione è esplosa nei mesi scorsi con la scoperta che in diversi impianti del Paese erano usati componenti non certificati. Lo scandalo ha fatto emergere quella che il quotidiano di tendenza liberale Hankyoreh ha definito “la mafia dell’atomo”.
Un’attivista di Greenpeace a largo della Corea del Sud; foto credits: greenpeace.org
Alla radice c’è la commistione tra controllori e controllati e il travaso di alti dirigenti della Korea Hydro & Nuclear Power, ossia del gestore degli impianti, verso le società incaricate di progettare, costruire, equipaggiare o controllare le centrali.
Il risultato è che nel mezzo dell’estate la Corea del Sud è costretta al risparmio energetico forzato. Parte dei 23 reattori sudcoreani è chiusa per verifiche e controlli . L’atomo fornisce circa un terzo del fabbisogno energetico sudcoreano. E con le centrali a capacità ridotta il mese scorso il governo ha esortato tutti, dalle amministrazioni pubbliche, ai militari ai cittadini a fare attenzione a quanto consumano per scongiurare il rischio blackout.
Proprio le pressioni della potente lobby dell’energia nucleare potrebbe essere dietro i no sudcoreani che per due anni hanno impedito al personale di Greenpeace di visitare il Paese. Un divieto d’entrata selettivo che ha bloccato sei attivisti anti-nuclearisti, ma nello stesso periodo ha lasciato la porta aperta agli attivisti conservazionisti o per la salvaguardia degli oceani.
Un no che ha fermato per due anni lo stesso direttore per l’Asia orientale dell’organizzazione, il maltese Mario Damato, che soltanto lo scorso 3 luglio è potuto sbarcare all’aeroporto internazionale di Incheon. È stata necessaria una causa per abuso d’autorità intentata da Greenpeace lo scorso dicembre contro il ministero della Giustizia per far cadere il divieto.
“Salutiamo con favore la decisione del ministero della Giustizia – ha detto Damato in un comunicato dell’associazione – continuiamo però a essere all’oscuro delle ragioni dietro il divieto”. “Possiamo soltanto arrivare alla conclusione che sia stato a causa dell’industria nucleare perché a subirne le conseguenza sono stati i nostri impegnati nelle campagne contro l’energia atomica. Continueremo a cercare spiegazioni per queste pressioni”.