Chi sono i giovani cinesi di oggi? Lei. Giacca di marca appena comprata per più di mille euro, rossetto rosa fucsia sulle labbra, si aggira in uno dei quartieri della movida pechinese. Lui, giovane operaio di una mega-fabbrica di Shenzhen, ha un unico sogno: diventare proprietario del suo, e solo suo, negozio. Sono loro, tanti e diversi. Figli di una generazione castrata nell’instaurare un dialogo, (la Rivoluzione culturale ha stretto tutti in una morsa silente); i ragazzi nati negli anni Ottanta, sono cresciuti nel pragmatismo delle riforme economiche.
Zhang Tiezhi, giornalista e critico musicale taiwanese, li definisce “depressi e ribelli”. “Da due anni a questa parte uno dei gruppi più in voga in Cina è un gruppo rock di Shijiazhuang, The Omnipotent Youth Society”, scrive il giornalista. “La loro musica non è commerciale, ma è un insieme di folk vecchio stile, rock e tonalità blues. Il loro successo è dovuto alla musica intrigante ma sopratutto ai testi, in cui si racconta l’enorme dolore e la depressione del giovane cinese medio che vive in città.
Già senza strada, non sappiamo ritornare a casa. Con occhi duri guardiamo la realtà , fabbrichiamo luoghi lontani. La primavera, la libertà… ce le dovremmo meritare. Affrontiamo un futuro indifferente, cantiamo canzoni d’amore e non vediamo i carri armati
Questa è la realtà di un normale ragazzo cinese: un futuro indifferente. L’apogeo della grandezza cinese, la maestosa immagine della Cina che appare all’improvviso all’orizzonte, è un illusione per questi ragazzi. Come un film di Hollywood al cinema. Ho domandato ai The Omnipotent Youth Society se i giovani di Shijiazhuang fossero arrabbiati “In questo paese chi non è arrabbiato sono solo le persone senza cervello” è stata la risposta. “Siamo tutti pieni d’insoddisfazione e di frustrazioni, ma molte persone non sanno individuare la radice del problema”. The Omnipotent Youth Society sanno la risposta, ma non scrivono le loro canzoni come forma di protesta. Cantano, piuttosto, la grigia sofferenza e la mediocrità dell’esistenza o la primavera che viene tinta, di nero, dalla polvere. L’oscurità è la parola chiave che gli fa comprendere la vita. […]”, conclude Zhang.
Quindi, come rintracciare la radice del problema? Probabilmente indagare solo in una direzione può essere fuorviante, ma le parole di Chen Jibing, altro importante giornalista cinese, posseggono una chiave di lettura estremamente interessate.
“Da un lato, negli ultimi trent’anni, l’economia cinese ha condiviso una fase di grande crescita a lungo termine senza precedenti nella storia dell’economia globale. Allo stesso tempo, il maggiore processo di industrializzazione e urbanizzazione su ampia scala mai conosciuto nella storia dell’umanità ha innescato in Cina un trasferimento di popolazione anch’esso mai visto prima. Comunque è stato proprio in quest’epoca di grande crescita e di grandi trasformazioni – che ha anche implicato innumerevoli e considerevoli opportunità – che in Cina si è presentato un grave problema: quello che negli ultimi tempi la gente ha preso a chiamare “irrigidimento degli strati sociali”. In realtà l’impiego della definizione di “irrigidimento degli strati sociali”, per sintetizzare lo stato attuale della mobilità, presenta notevoli imprecisioni. Un figlio di contadini vuole diventare un muratore, mentre una figlia di un piccolo uomo d’affari desidera fare la maestra in un asilo. Questi casi di mobilità non solo sono possibili, sono davvero all’ordine del giorno. È una situazione sostanzialmente diversa dal modello rigido che precedette le riforme e aperture, che era completamente regolato dallo Stato, dall’inizio alla fine” […..]
“Durante la prima fase delle riforme di apertura, i grandi monopoli, appoggiandosi come parassiti al potere dell’amministrazione dirigente, non si erano ancora formati, o perlomeno erano anch’essi nel pieno di un rapido processo di trasformazione. Per questa ragione c’erano nuove opportunità ovunque e si sentivano numerose storie di persone di successo, a partire da chi apriva in proprio un piccolo ristorante per strada fino ad arrivare a chi apportava nuove idee in ambito tecnologico ed economico, con lo sviluppo dei grandi portali su internet. In altre parole, allora era come se alcune persone acute stessero preparando una nuova torta, facendo leva sulle proprie forze e muovendosi ai margini o al di fuori del sistema. Ma oggi questo grande sogno si sta estinguendo inesorabilmente.
È questo che ai nostri occhi ha reso così iniqua la società nella sua interezza, non avendo per altro alcuna alternativa possibile. Sono convinto che ci sia questo all’origine della “apatia della generazioni nate dopo gli anni Ottanta”. Vista con gli occhi di un uomo come me, della generazione dei nati dopo gli anni Sessanta, la storia ci ha tirato proprio un brutto scherzo: in origine, per noi nati durante la Rivoluzione culturale, la generazione degli anni Ottanta doveva essere la “generazione delle riforme e aperture”, che tanto invidiavamo e su cui riponevamo le nostre speranze; poi, però, la stragrande maggioranza di loro non è stata in grado di godere dei ricchi frutti delle riforme e aperture. Tanto meno ha potuto portare avanti con maggiore forza le riforme e aperture, piuttosto si è appassita prematuramente.”
E oggi, i giovani camminano sempre più spesso con un android in mano. In metropolitana, in autobus: gli occhi puntati sullo schermo di un qualsiasi device che li connetta alla rete, il wifi è praticamente ovunque.