Più che da serioso diplomatico, il suo è un sorriso da star del cinema. Uno di quelli che richiamano alla memoria tutto il fascino di una delle dinastie più popolari della storia politica americana. Già, perché il soggetto in questione di cognome si chiama Kennedy: un cognome che è ormai un brand, un marchio di fabbrica, forse il miglior prodotto da esportazione degli Stati Uniti.
Caroline Kennedy. Foto credits: prestowitz.foreignpolicy.com
Caroline Kennedy, 55 anni, figlia di John, ex presidente ucciso nel 1963 a Dallas, è stata nominata in settimana ambasciatrice in Giappone dal Presidente Usa Barack Obama. La decisione sar sottoposta al Senato nelle prossime settimane e in autunno Kennedy dovrebbe insediarsi. Sebbene fosse nell’aria da molto tempo, la sua nomina segna una rottura con il passato. Kennedy è infatti la prima ambasciatrice americana in Giappone.«I giapponesi la ameranno», ha dichiarato alla Reuters Laurence Leamer, autore di tre libri sui Kennedy.«Adorano i Kennedy e sono affascinati dalla loro celebrità».
L’erede della famiglia Kennedy vede così premiato il proprio impegno a sostegno di Obama da 5 anni a questa parte. Dopo gli studi in giurisprudenza, Kennedy si è dedicata all’attività di scrittrice e di organizzatrice di eventi di beneficenza. Al momento è presidente della commissione di consiglio all’Istituto di Politica dell’università di Harvard e della John F. Kennedy Library Foundation. Nel 2008 è salita agli onori della cronaca con un editoriale apparso sul New York Times intitolato “Un presidente come mio padre”. «È la prima volta nella storia che qualcuno viene nominato a un incarico diplomatico di primo livello per aver scritto un editoriale», ha ironizzato David Rothkopf su Foreign Policy.
Una scelta che si può dire discutibile, e non totalmente a torto. Di fatto, Kennedy non ha, almeno sulla carta, la preparazione necessaria a occupare un posto diplomatico di prima importanza. Basterà allora la sola allure del cognome?
Anche i media giapponesi sono in bilico tra approvazione e scetticismo. Il Giappone è il miglior alleato degli Stati Uniti in Asia orientale e pertanto ha una posizione prioritaria negli assetti diplomatici di Washington. Ma è anche una piazza estremamente delicata. Come ha ricordato il Nikkei shimbun, il primo quotidiano economico giapponese, Kennedy sarà chiamata a trattare con Tokyo su questioni di prima importanza: il Trans Pacific Partnership (TPP), per dirne una. Da anni sono in corso le trattative per far entrare il Giappone nelle negoziazioni sull’accordo di libero scambio tra i principali paesi affacciati sul bacino del Pacifico, dagli Stati Uniti al Sud America, dal Sudest asiatico all’Oceania.
Nel 2010, il Giappone ha dichiarato l’intenzione di partecipare alle negoziazioni, senza però mai partecipare effettivamente. Sono soprattutto le associazioni dei produttori agricoli – che costituiscono ancora una grossa fetta dell’elettorato – ad opporsi temendo di perdere il tradizionale vantaggio sulla concorrenza dei prodotti di importazione.
C’è poi la questione della presenza militare americana sul suolo giapponese. Il Paese-arcipelago ancora oggi ospita decine di migliaia di militari americani sparsi in oltre 80 strutture su tutto il territorio dell’arcipelago. Questione particolarmente spinosa, quella delle basi americane, in un periodo di tensioni continue con Pechino e con Pyongyang. Soprattutto a Okinawa, nell’estremo sud del Paese del Sol Levante, dove – dati del 2009 – si concentrano i 3 quarti delle strutture e oltre 20mila militari. La popolazione da anni protesta chiedendo la riduzione della presenza americana che, tra incidenti aerei, casi di stupro e rapimento ai danni delle donne locali, ha fatto danni più che garantire sicurezza.