Matteo Renzi pare abbia affermato che il candidato segretario del Partito Democratico debba essere automaticamente il candidato premier del partito, così come inizialmente previsto dallo statuto del Pd.
Il sindaco di Firenze (di cui ci dovremo chiedere se ancora stia dando il suo impegno per il governo della città, cioé quel che ha definito il lavoro più bello del mondo) dimentica però che ha partecipato proprio pochi mesi fa alla contendibilità della leadership di un governo di centrosinistra, uscendo sconfitto da Pierluigi Bersani. Che era il segretario e di diritto poteva evitare di fare le primarie.
Quindi Renzi non vuole ora quel che prima gli ha permesso di giocarsi la possibilità di diventare il candidato presidente del Consiglio della coalizione guidata dal Pd.
Non sono pochi coloro che sono favorevoli a concentrare il ruolo di leader di partito con quello di premier. Io sono contrario. Lo sono perché sono dell’opinione che quando hai un ruolo devo onorarlo con impegno e dedizione. Lo sono perché avere un ruolo nel partito è cosa diversa da avere un ruolo da candidato. Il primo deve far funzionare il gruppo, le attività, il coordinamento, le iniziative politiche del partito. Il secondo deve procacciarsi consenso e voti, pubblicizzarsi individualmente, concentrarsi su come essere vincente, anche a scapito di altri colleghi di partito.
Chi non la pensa come me di fondo vede che i politici, riuniti in correnti o raggruppamenti di altra entità, tendono a combattere anche se dello stesso partito, e il partito tende a diventare ostile al presidente del Consiglio del suo colore politico, poiché il secondo ha delle responsabilità generali verso tutti i cittadini e verso tutte le fazioni politiche.
Il problema in questo caso è però la scarsità di responsabilità politica e di eccessivo cinismo della classe politica, cosa che va corretta anche facendo sì che il premier sia espressione del Paese e il segretario di partito sia simbolo dei suoi iscritti, pur nel rispetto reciproco delle due parti