A metà degli anni Sessanta, in piena epoca del “baby boom”, nascevano in Italia oltre un milione di bambini l’anno. Fu quello il punto più alto della produzione di figli dal dopoguerra in poi. Il punto più basso è stato invece raggiunto nel 1995 con 526 mila nascite. Questo modesto risultato, rapportato alla popolazione femminile in età riproduttiva, corrisponde a un figlio e un quinto per donna (di fatto, quindi, per coppia). Dato che da una generazione alla successiva si cresce solo se ci sono almeno due figli che rimpiazzano i due genitori, il basso valore raggiunto dalla fecondità italiana ci rende un paese con sempre più anziani e sempre meno giovani.
Di positivo c’era però almeno il fatto che dalla metà degli anni Novanta, anche al netto del contributo dell’immigrazione, avevamo iniziato un processo di moderata ripresa. Con l’importante novità, rispetto alle dinamiche del passato, che il fare figli risultava sempre più positivamente legato alle condizioni di benessere economico delle famiglie e alla qualità dei servizi di welfare.
Tanto che nel corso del primo decennio del XXI secolo, la fecondità del Nord arrivava a superare, per la prima volta nella storia del nostro paese, quella del Sud. Nel 2008, ad inizio recessione, il numero medio di figli per donna risultava aver raggiunto il valore di 1,42 a livello nazionale, con il Nord a 1,47 e il Sud a 1,35.
Cosa è successo poi negli anni di crisi? La fecondità ha, in una prima fase, smesso di crescere, in attesa di capire se la tempesta passava o meno. Vista però l’ostinata persistenza della recessione, a partire dal 2011 la fecondità, per la prima volta dal 1995, ha cominciato ad arretrare (scendendo a 1,44 al Nord e a 1,33 al Sud). Le difficoltà oggettive nel mercato del lavoro, l’impoverimento del ceto medio, il congelamento degli investimenti locali sui servizi di welfare, ma soprattutto l’incertezza sul futuro e sulle possibilità del sistema paese di imboccare, anche dopo la crisi, un solido sentiero di sviluppo e benessere, ha reso molto più caute le giovani coppie rispetto alla formazione di nuove famiglie con figli. Per ora si posticipa la scelta. Ma se le condizioni non migliorano, il rischio è che il rinvio diventi sempre più una rinuncia definitiva.
Che la crisi stia producendo un effetto negativo in tutta Europa sulla natalità – soprattutto in relazione al rischio di disoccupazione tra i giovani-adulti – lo conferma anche un recentissimo studio pubblicato su “Demographic Research”. L’impatto appare ancor più accentuato, si afferma nella ricerca, in paesi come Italia e Spagna dove la condizione delle nuove generazioni, a causa delle carenze istituzionali, è particolarmente vulnerabile e il loro rapporto con il mercato del lavoro particolarmente problematico.
Una conferma che la precarietà non è più oramai solo lavorativa, ma sta drammaticamente intaccando più profondamente le scelte di vita.