Dopo anni in cui l’accademia sembrava giocoforza doversi occupare solo di governance, di durata dei mandati dei rettori o del numero esterni in consiglio di amministrazione, qualcuno ricomincia a parlare di didattica. Dopo la lunga stagione dell’adeguamento, ancora non terminato, alla riforma di Mariastella Gelmini, ecco infatti che un piccolo ateneo del centro-sud, quello di Teramo, rivoluziona il modo di stare in università.
Qui Luciano D’Amico, classe 1960, nativo della provincia teatina, ordinario di Economia aziendale, poco dopo essere stato eletto al rettorato, ha avviato le trasformazioni.
“Abbiamo proposto un patto a i nostri studenti”, spiega, “un impegno a esserlo full time, a tempo pieno, con un frequenza, di fatto, obbligatoria”. La formula che il rettore D’Amico e i suoi collaboratori hanno adottato prevede infatti alcune “pre-lezioni”, contributi video sulla materia insegnata, che vengono registrati grazie al centro didattico d’ateneo e che lo studente deve guardarsi a casa, via web. “In questo modo, le ore in aula, la didattica frontale”, racconta D’Amico, “si trasformano in una discussione critica degli argomenti col docente, a cui seguono forum di apprendimento di tipo più laboratoriale”.
Nel patto è previsto una verifica periodica del lavoro svolto, attraverso verifiche settimanali “e in alcuni casi bisettimanali” e non mancheranno i test e i paper da produrre “che potranno essere valutati anche fra pari”, cioè dai compagni di corso, in una sorta di peer-review fra colleghi studenti, che serve a coinvolgere e a responsabilizzare di più ognuno.
“L’obiettivo”, dice D’Amico, “è aver conseguito i crediti previsti dal piano di studio entro il 31 maggio”. Da giugno a ottobre gli studenti teramani potrenno per esempio frequentare summer school oppure riposarsi ché, spiega il rettore, “a quel punto se lo saranno meritato”. All’accusa di aver “inventato” il liceo, che lo stesso magnifico ammette essere volata, D’Amico oppone che la lezione rimane centrale, ma che c’è un’attività, a monte e a valle, che rende tutto più efficace.
In pratica da ottobre a maggio, lo studente a Teramo risulta molto impegnato, dalle 8,00 alle 20,00 “anche perché ci sono altre attività come l’acquisizione delle competenze linguistiche. “E poi”, sbotta il professore, “quale liceo e liceo? In una situazione di crisi, come quella attuale, non ci possiamo permettere che i giovani sprechino tempo e che non siano preparati bene”.
Una rivoluzione della cui bontà D’Amico ha dovuto convincere il corpo accademico dell’ateneo abruzzese: “Come ho fatto? Ho fatto capire che una razionalizzazione e una concentrazione dell’impegno conveniva anche ai docenti, avendo un lungo periodo, da dedicare all’aggiornamento”.
Il rettore di Teramo, tra l’altro, ha legato il suo nome a un altro cambiamento: assegnerà molti lavori prima esternalizzati, dalle pulizie ad alcuni servizi prossimi alla vita studentesca, direttamente agli iscritti. Ben oltre le consuete collaborazioni di 150 ore, previste dalla legislazione sul diritto allo studio, D’Amico immagina attività per un milione di euro, un tempo speso fuori dall’università. Un piccolo welfare d’ateneo in tempo di crisi, ma anche, sul modello di quanto accade nei campus di impronta anglosassone, il modo di avvicinare gli studenti alla responsabilità del lavoro.
Innovazioni che, aldilà della loro effettiva ricaduta, documentano un modo di stare nell’università di cui c’è un grande bisogno: quello di chi vuol sperimentare laddove è possibile, forme nuove e più efficienti, non arrendendosi a una continuità ormai priva di consapevolezza e all’insegna di una certa depressione.
Dalla piccola Teramo – 20 anni di storia e 10mila studenti – emerge un’idea di università come comunità di persone responsabilmente impegnate col proprio lavoro, sia esso guidare un ateneo, insegnare una materia, fare ricerca in una certa disciplina, imparare.
E allora, dieci, cento, mille Teramo.