Nella giornata di ieri si è insediato il nuovo capo della Direzione Nazionale Antimafia, Franco Roberti, che dopo sei mesi per la nomina è andato a occupare la poltrona che fu dell’attuale presidente del Senato Pietro Grasso.
Di Roberti avevamo fatto un ampio ritratto qui. All’uomo non manca la determinazione, e nemmeno la capacità di andare controcorrente in un campo dove l’omologazione, anche istituzionale, per far contento qualcuno è sempre dietro l’angolo.
Nella giornata del suo insediamento il segnale più forte Roberti lo ha sicuramente lanciato parlando della norma sul voto di scambio politico-mafioso. Quel famoso articolo 416-ter pensato da Falcone e poi caduto nella sua parte più importante una volta approdato in parlamento. Dice Roberti «In Parlamento c’è in discussione un disegno di legge sul voto di scambio, che però a mio giudizio rischia di rendere la norma di ancor più difficile applicazione. Perché non tornare, piuttosto, alla 416 ter del decreto legge post Capaci, nella sua prima formulazione? Quando si diceva chiaramente che andava colpita la promessa di sostegno elettorale da parte mafiosa in cambio di denaro o altra utilità? Quel concetto di “altra utilità”, che poi andò perduto nella legge di conversione, secondo me andrebbe reintrodotto per recidere il patto di scambio politico-mafioso».
Il nuovo capo della Direzione Nazionale Antimafia, Franco Roberti
Insomma, c’è poco bisogno di appelli, di firme e di petizioni per riscrivere la norma. Per Roberti, che nella giornata di ieri ha parlato anche di confisca dei beni alle mafie, commistioni tra terrorismo e organizzazioni criminali, è sufficiente andare a ripescare quel vecchio 416-ter, inserire di nuovo il concetto dell’ “altra utilità” a vantaggio del politico che prende voti dalle mafie e fare di tutto perché questa volta il parlamento non recida questa formulazione. Una caduta quella del concetto di “altra utilità”, che ha aperto mille strade alle teste di legno delle mafie nella seconda Repubblica, sia a livello nazionale, ma soprattutto a livello locale, dove la pressione mafiosa e la disponibilità di alcuni amministratori raggiunge livelli imbarazzanti.
Alla fine chiosa le polemiche su interviste e chiacchiericci vari di magistrati e su magistrati: «I giudici parlano con le sentenze».
Twitter: @lucarinaldi