Altro che Dc. Renzi è il leader dei nuovi socialisti europei

I commentatori più pigri (o più maliziosi) hanno già sentenziato: con il Pd al 40 per cento l’Italia ha la sua nuova Dc. In modi diversi sostengono questa tesi i soggetti più diversi: da Barbara S...

I commentatori più pigri (o più maliziosi) hanno già sentenziato: con il Pd al 40 per cento l’Italia ha la sua nuova Dc. In modi diversi sostengono questa tesi i soggetti più diversi: da Barbara Spinelli ad Antonio Polito a Marco Travaglio. Non è proprio così, se per osservare la realtà che cambia si usano le lenti giuste.

Il risultato di domenica consegna all’Italia quel grande partito riformista di massa che da almeno 25 anni – diciamo dalla caduta del Muro di Berlino – costituisce il sogno e il progetto dei democratici italiani. Un partito a vocazione maggioritaria, capace di miscelare le culture del riformismo, ma soprattutto capace di concepire le riforme, di perseguirle oltre che proclamarle, di parlare a tutti gli italiani, non solo a quelli di presuntivamente di sinistra, a tutti gli uomini di buona volontà, non soltanto a quelli che si riconoscono in una ditta o in una parrocchia.

E non è affatto un caso che ciò sia avvenuto in una cornice europea in presenza di una forte leadership. È la regola dei sistemi politici più avanzati. Non si spiegherebbero, altrimenti, il successo immarcescibile del sistema americano o di quello inglese. Non si spiegherebbero, altrimenti, figure diversissime tra loro come Mitterand, Blair, Schröder e Zapatero in Europa. O come Clinton e Obama in America. Forse qualcuno ancora ricorda l’unico momento in cui questo traguardo sembrò vicino, ai tempi dell’Ulivo, con le liaisons tra Prodi, Clinton, Blair. Allora si parlò di Ulivo mondiale, ma i tempi non erano ancora maturi evidentemente.

Troppa storia addosso, troppe resistenze, troppi nodi irrisolti. Oggi c’è il bimbaccio che ha la sfacciataggine necessaria (la «cattiveria», ha detto Veltroni) per volere ciò che nessuno aveva il coraggio di chiedere. Se non corressimo il rischio di essere accusati di piaggeria o di fascinazione potremmo parlare di una “tensione esodica”. E allora ne parliamo.

Renzi sta in qualche modo realizzando un “esodo”. Anzi due. L’esodo del partito da se stesso. Trascinando un popolo verso una definitiva trasformazione. L’esodo verso una qualche ipotesi di “terra promessa”: che è proprio l’Europa.

Fin quando reggeva la mera giustapposizione di post-comunisti e di post-popolari non c’era un partito europeo, ma un mediocre brogliaccio italiota, senza identità, né linea, né prospettive. Fatto solo di un passato che divora il presente. In questo, i difensori della “ditta” hanno responsabilità storiche gravissime. Delle quali non riescono a scusarsi oggi semplicemente perché la cultura di appartenenza non li aiuta a comprendere i propri limiti e a cacciare i propri fantasmi. Mentre questi si disputavano Berlinguer con Grillo e Casaleggio, Renzi impastava la farina del suo sacco.

Siamo arrivati a queste elezioni in cerca di una legittimazione popolare per un leader apparentemente abusivo. E ci siamo risvegliati con il leader socialista e democratico europeo più forte del vecchio continente. Una responsabilità pazzesca, davvero. Tant’è che il premier non è andato in giro a festeggiare come avrebbe fatto il suo omologo di Arcore fregandosene di governare il paese.

Renzi, da poco al governo, ha incarnato la speranza di un cambiamento, ma rinnovando la fiducia nel progetto europeo. Con straordinaria nonchalance ha scelto di aderire al Partito dei socialisti e democratici europei, mettendo fine ad anni di psicodrammi che hanno ulteriormente rallentato il cammino del Pd. Oggi l’ex scout si ritrova, da novizio, a giocarsi un ruolo di guida dei socialisti europei. Ha il merito, per ora, di aver realizzato un sogno e di aver sfidato i conservatorismi di destra, di centro e di sinistra.

Al di là delle doti personali, contano certamente le congiunture. L’esaurimento della fase del rigore. L’assoluta emergenza occupazionale. Il nuovo clima di attenzione verso i giovani senza lavoro del sud Europa. L’emersione dei populismi euroscettici in tanti stati membri. Il passo del gambero di socialisti e popolari, i due partiti dell’asse comunitario. Alcune novità istituzionali a livello comunitario (in primis, il coinvolgimento del parlamento europeo da parte del Consiglio dei capi di governo nella scelta del presidente della Commissione). Infine, il semestre italiano, nel corso del quale Renzi premier dovrà affrontare molti dei nodi aggrovigliati nel pettine comunitario.

Insomma, con il semestre italiano ci aspettano mesi suggestivi. Che cosa combinerà Matteo Renzi? Se andiamo a rileggerci il programma delle primarie del 2012 qualche proposta possiamo immaginarla: fedeltà al fiscal compact, unita però alla revisione del 3 per cento per favorire gli investimenti; titoli di debito comuni (eurobond), la cui emissione sia soggetta a vincoli comunitari e venga svolta da un’agenzia del debito europea; iniziative mirate in favore dell’occupazione giovanile, dramma incalzante nell’Europa del Sud; nuovi investimenti su capitale umano, formazione e mobilità internazionale; nuove riforme istituzionali in Europa in vista di una maggiore unità politica; potere legislativo del parlamento europeo; elezione diretta di una figura capace di sommare il ruolo di presidente della Commissione e di presidente del Consiglio europeo.

Un rottamatore si aggira per l’Europa.

(Pezzo già pubblicato su Gazebos, Il Rottamatore e Europa)

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