Out among the EnglishL’affaire Raimo/Morici e il perché della mia condanna

Ci sono momenti, casi, in cui tutta la questione letteraria si sposta su un livello diverso, va a pescare nel marciume delle vie di San Lorenzo e da teoria diventa pratica. Alle mani, verrebbe da d...

Ci sono momenti, casi, in cui tutta la questione letteraria si sposta su un livello diverso, va a pescare nel marciume delle vie di San Lorenzo e da teoria diventa pratica. Alle mani, verrebbe da dire, se proprio dovete farlo!

Ho letto questa cosa di Christian Raimo su minima&moralia, parlava di Claudio Morici. Poi ho letto la risposta di Morici, e ho cercato di farmi un’idea su tutta la faccenda. Non mi è venuto in mente niente di costruttivo, perché in casi come questo non c’è niente di più costruttivo da fare se non cercare di prendere una parte sensata o fare silenzio. Io non amo il silenzio, urta la mia sensibilità di ascoltatore.

Il fatto qui è che — in un paio di generosi sbobinati da 40mila battute, che fanno sembrare la Torah un pamphlet da leggere in treno — entrambi i contendenti si sono spinti fin verso il baratro della loro rivalità, ma senza mai esporsi veramente. Per pudore, si direbbe. Perché queste cose alla fine vanno sempre così, dico io: annacquate, naufragate, gonfie del liquido torbido che è la mancanza di coraggio. Non c’è sincerità nella scrittura, nella letteratura, men che mai nell’editoria, nemmeno quando si viene al confronto diretto. Se di confronto diretto si può parlare, in questo caso, visto che sia Raimo che Morici ci tengono a specificare che ognuno dei due ha per anni evitato l’altro. Morici arriva addirittura a pretendere un moto di violenza, che però nessuno ha visto tramutarsi in violenza pratica — come si sarebbe auspicato.

La prima edizione di Consider the Lobster, di DFW, curioso che tra tutti i giorni il dio di Amazon abbia scelto proprio questo per farmelo trovare sulla scrivania

La verità, che a questo punto tanto vale mettere nero su bianco dato che ho deciso di espormi, è che nel leggere le parole di Claudio Morici — che non conosco se non per fama, non molto distante da quanto riportato — ho ritrovato molto del mio amico Christian, che avrei spalleggiato in circostanze differenti — magari trovandomi faccia a faccia con quel confronto diretto cui accennavo qualche riga fa, visto che, dove manco di faccia tosta, sono forte di stazza. Dei contributi per scrivere su minima&moralia sapevo, per sentito dire. A me non hanno chiesto quasi mai niente, forse solo perché ho smesso di scriverci e ho subito cambiato indirizzo, però sapevo. E ho sempre lasciato da parte il dubbio per non dover affrontare una realtà che, complice la simpatia che provo per Christian e per gli editori, sarebbe stata difficile da digerire. Ora ecco che il sospetto torna a galla, e anzi si fa parte di un disegno concreto. Sapevo anche dei finanziamenti pubblici che il blog di minimum fax ha sempre cercato di tenere sottotraccia, per salvare quella meravigliosa parvenza di indipendenza che ancora conta qualcosa negli ambienti hip del Pigneto. Non abbiamo soldi e non ne vogliamo, per questo non paghiamo i nostri collaboratori, ma se loro volessero pagare noi… E a ferirmi ancora di più è la consapevolezza che dietro questa logica ci sia proprio Christian. Christian il bonaccione. Christian l’eterno affaticato. Christian la macchietta da social network che io non ho mai voluto considerare tale, che non si arrabbia mai, che non protesta mai se non per iscritto, forte del fatto che raramente un lettore arriverà in fondo a un suo articolo per cogliere il succo della sua tesi e finirà per dargli ragione per sfinimento. Christian il nipote importante — sapevo anche questo, e sapevo per lui quanto ha contato. Christian il figlio della Roma bene che gioca al fanciullo spensierato della sinistra illuminata, che ora si trasforma nel perno del mio risentimento. Perché, dovunque stia la verità in questa storia, qualcuno sta mentendo e sta approfittando dell’altro e io ho paura a chiedermi chi.

Ecco, il dibattito — sterile, concedetemi l’inciso — tra Christian e Claudio, entrambi così innamorati di se stessi da evitare le barricate per non sbucciarsi le nocche, ma orgogliosi da sciorinare un paio di pezzi incrostati da quella lieve forma di grafomania per cui sono famosi, per me è doppiamente pruriginoso: da una parte mi intasa la timeline dei social e dei feed con paroloni da seconda serata di Rai 3, dall’altra mi costringe a una riflessione pericolosa sull’onestà intellettuale e sull’affidabilità di alcuni che considero amici. Non so se voglio andare a fondo nella faccenda, ma il dubbio è il principio della delusione. Lo capirete poi.

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