Oggi ospitiamo un intervento di Caterina Zadra (imprenditrice novarese – note a fine articolo), che ringraziamo! Il suo punto di vista (che e’ altamente apprezzato!), come per altri ospiti, non riflette necessariamente quello di ‘Giovine Europa Now’. Buona lettura!
Brexit, sconfitta di Renzi e vittoria di Trump sono chiari segnali. Segnali sui quali i maggiori analisti politici e finanziari dell’ Occidente non hanno scommesso, anzi, reputavano impossibili.
L’economia dell’Occidente non va. Non va per Grecia e Italia ma non va nemmeno per paesi come UK, Belgio, Irlanda, Cipro, Francia. Anche Giappone, Islanda e USA presentano pil decisamente inferiori rispetto al 2003. Il PIL totale dell’Eurozona arranca e mantiene a stento le stime del 2003 ben dieci anni dopo. Negli stessi anni vola il PIL dei seguenti paesi: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Bulgaria, Macedonia e Turchia, insieme ad altri paesi come Svizzera, Lussemburgo, Norvegia seguiti a ruota dalla Germania. Quindi grandi economie che hanno transitato dagli uni agli altri per la struttura dei trattati dell’Eurozona. Ma è un sistema che costa troppo e non è più sostenibile. L’Italia è la prima della classifica europea con un ragguardevole 64,8% di pressione fiscale. E io dico al limite della sopravvivenza. Anzi, lo dice l’Istat: nel 2015 il 29% degli italiani sono a rischio povertà. Al Sud la percentuale è salita al 46%, al Centro è al 24%. In aumento tendenziale al Nord. Al contempo siamo su una percentuale innaturale di disoccupazione giovanile, la voucher-generation, per coniare un neologismo anglofono. Le riforme fatte finora non sono percepite come incisive. Ma a chi governa servono dati edulcorati per una narrazione estranea dalla realtà, come se, a forza di ripeterla, una notizia diventasse vera. Parole come stabilità, riforme, ripartenza, crescita economica, uscita dal tunnel non sono percepite reali dal cittadino comune. Qualunque catastrofe naturale la si affronta. Invece per quanto riguarda questa catastrofe che è economica (e che dura ormai da troppo tempo per chiamarla emergenza, divenuta ormai strutturale) in Italia la si tende a evitare o nascondere: invece che concentrarci sulle riforme del fisco e del lavoro parliamo di Senato e di Legge elettorale. O di femminilizzazione delle cariche. Non mi sono meravigliata dell’esito del voto. Neanche un po’. Brexit, referendum italiano ed Elezioni USA hanno un grande filo conduttore: l’Occidente si è impoverito, non girano soldi, non c’è lavoro, i ragazzi sono disoccupati. Altro che bamboccioni: la casta politica non è riuscita all’unico scopo a cui serve e cioè salvaguardare la sicurezza fisica, economica e sanitaria dei suoi cittadini. I primi commenti e le prime analisi post Brexit, evento inconcepibile per alcuni analisti finanziari che si sono trovati impreparati, non hanno chiarito il dibattito e non hanno nemmeno condotto ad un esito definitivo per quanto riguarda l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona in merito all’uscita dall’UE. Theresa May vuole un’uscita dura e Trump ruggisce: America first! I mercati tornano verso gli investimenti più sicuri in una fase in cui l’incertezza è l’unica certezza: il ritorno ai cosiddetti beni rifugio, quali l’oro (il lingotto con consegna immediata sale dello 0,3% a 1206 dollari l’oncia nei mercati asiatici) e lo yen, in uno scenario di volatilità complessiva dei mercati azionari.
L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ha modificato gli scenari sia geopolitici che micro e macroeconomici, addirittura influendo sul percorso di normalizzazione dei tassi negli Stati Uniti, spostando ulteriormente in avanti le aspettative sul prossimo rialzo dei tassi da parte della Fed. Nessuno però è in grado di prevedere quale sarà lo scenario definitivo. Gli analisti provano a disegnare scenari futuri. Una cosa è certa: i mercati si autoregolano e non ci saranno sorprese clamorose quanto il risultato alle urne. L’economia tende a riprendere il suo corso in una sorta di riequilibrio sull’onda del mare. Come un eco-sistema. Gli specialisti ipotizzeranno statistiche sui cambiamenti di tendenza degli operatori economici, analisi dei mutamenti tendenziali, attente valutazioni dei rischi e delle opportunità. La scarsa incisività delle riforme strutturali non favorirà i mercati nella prospettiva di medio periodo. Nel breve periodo potranno esserci delle risposte nervose ma è il lungo periodo che conta e su tutti vince il tempo: il vero trend dei mercati di norma si evince nel lungo termine.
La situazione a livello mondiale risulta complessa. Il presidente cinese Xi Jinping a Davos si fa portabandiera della globalizzazione e il suo messaggio all’Europa è chiaro: se volete il mercato, il mercato siamo noi. L’Europa non può fare a meno della Cina e la Cina non può fare a meno dell’Europa. Ma con quale Cina ci stiamo rapportando? Da una parte abbiamo la Cina dei diritti primari negati, delle censure (non solo internet, ma a qualunque pensiero contrario al regime) e delle fortissime restrizioni ai movimenti di capitale. Dall’altra abbiamo la Cina che dopo aver imposto una economia irregolare e fuori da ogni normativa oggi, potente, persegue un modello economico basato sulla creazione di una crescita sostenibile. E pretende normative e certezze ai paesi occidentali. La stessa Cina che, attraverso l’Asian Investment Bank, l’istituzione multilaterale mira a divenire il nuovo motore dell’economia mondiale grazie anche al contributo di paesi europei, nonostante il parere contrario di Washington. Oltre a Germania ed Italia (che col suo 2,62% del capitale è al dodicesimo posto), sono infatti presenti tra i membri fondatori il Regno Unito, la Francia e la Spagna. Pericoloso concorrente di Fmi e Banca Mondiale. Ma se guardiamo attentamente, anche l’agenzia di rating europea è cinese: Dagong Europe, braccio europeo con base a Milano dell’agenzia di rating cinese, ha ottenuto il via libera dall’Esma (European securities and markets authority) nel 2013. Con l’iscrizione tra le agenzie di rating europee, la società è licenziata a dare i propri giudizi sul merito del credito sia di aziende che di banche e assicurazioni. Per cui oggi il denaro europeo gira forzosamente su circuiti cinesi. Non è tutto: i denari della Cina servono anche per acquisire bond europei, ormai in un ordine di grandezza superiore a all’acquisizione di titoli di Stato americani. «L’euro e i mercati finanziari europei – affermava nel 2011 il presidente della Banca Popolare cinese, Gang Yi – sono e saranno uno dei settori di investimento più importanti per le riserve cinesi in valuta estera».
Sul totale del debito, circa 6.000 miliardi di dollari di obbligazioni del Tesoro Usa sono in mani straniere e la Cina, da sola, ne ha 1250 miliardi. Il “Financial Times” e “La Tribune” confermavano nel 2011: il debito europeo sorretto dalla Cina ammonta a 819 miliardi di dollari. In un intreccio peccaminoso fra affari e politica emerge una doppia strategia: la Cina assorbe il debito e in cambio acquista aziende e tecnologia. In effetti l’interesse cinese all’investimento nei paesi europei sembra concentrarsi in tre settori decisivi e strategici: l’energia, le infrastrutture e il credito.
Sulla vittoria di Trump sono in molti a storcere il naso. Molte sono già nei primissimi giorni del suo mandato le perplessità sulle indicazioni politiche: le tendenze protezionistiche come la rinegoziazione di NAFTA, la cancellazione dell’accordo sulla Trans-Pacific-Partnership con i paesi asiatici e non solo, l’imposizione di tariffe sui prodotti cinesi e di altri paesi che incideranno sui nuovi assetti geopolitici e commerciali.
In un mercato globalizzato, costruito e voluto dai portatori di forti interessi internazionali, i piccoli muoiono. Sono i grandi del mondo a ingigantirsi. Ci hanno venduto fino allo sfinimento che la globalizzazione sarebbe stata una grande opportunità. Per chi? Non per il nostro paese, basato su piccole e medie imprese. Era inciso nel nostro dna, che è stato svenduto. Su questo hanno taciuto tutti, in primis la politica e le associazioni di categoria allineate col susseguirsi dei governi pro-europa e pro-globalizzazione. Se uno osava fiatare era out. Ora ci ritroviamo in una situazione nella quale vediamo spuntare come funghi negozi asiatici nelle città, svendiamo le nostre migliori imprese e ci ritroviamo come Regione Piemonte, ad esempio, a essere ospiti del padiglione cinese all’Expo di Milano.
Sicuramente si volta pagina a una gestione dell’Occidente cieco e sordo a ogni grido di aiuto dei cittadini della ormai quasi scomparsa middle class: senza lavoro, senza tutele, senza certezze per il futuro. Credo che un minimo di autoanalisi vada fatta. Questo risultato elettorale è una indicazione molto chiara: così non va. Il voto a favore di Trump rappresenta in ogni caso un ulteriore colpo inferto, dopo quello di Brexit, al processo di globalizzazione e a una casta che ha governato il mondo negli ultimi decenni. Non siamo quindi in presenza di una crisi. Quello che abbiamo davanti a noi è un processo di mutamento egemonico mondiale, di cui l’incertezza economica che il mondo sta attraversando ne è al contempo accelleratore e spia. L’Oriente – prevalentemente la Cina – verrà a sostituirsi all’Occidente, come traino dell’economia mondiale. In sostanza siamo alle porte di una nuova fase della globalizzazione. E non vorrei che oltre all’impoverimento delle classi medie occidentali il passo ulteriore fosse il depauperamento di tutti quei valori e diritti che in tanti anni, con sofferenza, l’Occidente ha sancito come modello di vita rispettoso delle persone e del pianeta e che ha scritto, a volte col sangue, nei grandi Trattati dei Diritti Fondamentali.
*Caterina Zadra e’ ideatrice del marchio “Slow Foot”, turismo lento e contemplativo.
Laureata in Scienze della Comunicazione con una specializzazione in Marketing Strategico e dei Servizi. Vincitrice di una borsa di studio del Ministero Italiano Affari Esteri per italiani residenti all’estero, ha frequentato corsi di specializzazione presso il DAMS/Università di Bologna, ivi compreso il seminario di Semiologia e Semiotica di Umberto Eco.
Caterina è titolare di Nonsolotrekking Tour Operator, operatore turistico con sede a Novara, attivo nello studio, nella progettazione e nella realizzazione di pacchetti turistici nei quali il valore aggiunto è dato dalla capacità di individuare nuove forme di turismo e di promozione del territorio, con particolare attenzione a tutte le sue valenze da quelle artigianali a quelle artistiche, storiche, naturali ed eno-gastronomiche con l’intento di vederle apprezzate, protette e salvaguardate.
Caterina e’ stata anche presidente del Comitato imprenditoria femminile e giovanile x 3 anni; presidente della Commissione pari opportunità della provincia. Fa parte di Geoprogress onlus universitaria ed e’ Consigliere della società sportiva Novara Basket.