E’ una tradizione per questo blog dare dei consigli di lettura per l’estate. Non ci tiriamo indietro e anche quest’anno ci permettiamo di proporre alcuni interessanti volumi, non esclusivamente economici.
Partiamo da Giana Petronio Andreatta – psicoanalista, vedova di Beniamino (che bel nome!), detto Nino, Andreatta, grande pensatore e uomo politico di vaglia – che ha scritto E’ stata tutta luce (Bompiani, 2017), raccogliendo frammenti di ricordi che partono dal 1957 quando si conobbero all’Università Cattolica di Milano. Per un bel po’ di tempo si sono dati del lei! Altri tempi.
Due passaggi interessanti, tra i tanti:
1. “Andreotti scrive diversi biglietti pieni di buone parole; forse crede che io abbia dimenticato come ti (il volume è scritto rivolgendosi al marito, ndr) tenne fuori da ogni incarico, punendoti per il rifiuto di salvare lo Ior (Banca del Vaticano, pesantemente coinvolta nel crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, ndr), e come comunque fosse sempre appartenuto a una corrente con cui tu non avevi niente a che spartire, e che ti aveva avversato in ogni modo”.
Come disse Carlo De Benedetti Andreatta subì l’ostracismo della Democrazia Cristiana dopo la sua determinazione nella vicenda del Banco Ambrosiano. “L’establishment italiano è scheletrico e anchilosato, ma cattivo e pauroso. Dare prova di libertà costa carissimo”, ha affermato Carlo De Benedetti (Per Adesso, F. Rampini, Longanesi, 1999). “Come Ministro del Tesoro, dopo il fallimento dell’Ambrosiano fece in Parlamento un memorabile discorso d’accusa contro lo IOR e il Vaticano. Dopo quell’episodio Andreatta fu emarginato dalla vita politica italiana per dieci anni. Solo la sua intelligenza e la sua passione politica lo hanno riportato a galla, dopo Mani Pulite”.
2. “Nino aveva un fiuto particolare per i disonesti, per le persone che agivano scorrettamente o che erano troppo “disinvolte” col denaro e il maneggio della cosa pubblica…Per esempio, fatte le debite differenze, era molto diffidente nei confronti diMichele Sindona e Nino Rovelli“.
Marco Onado, professore senior di Economia degli intermediari finanziari all’Università Bocconi, già commissario Consob, ha scritto un libro meraviglioso, a tratti perfino divertente, con mille riferimenti e rimandi anche al mondo del cinema, che piace tanto al prof.
Edito dal Mulino, Alla ricerca della banca perduta è la storia e l’analisi dei salvataggi bancari che si sono susseguiti dopo il fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008. L’Italia, che si vantava di essere immune dal contagio, dopo anni di recessione che avrebbero ammazzato un toro, si è trovata con l’attivo delle banche commerciali piene di crediti incagliati e sofferenze. Spesso i banchieri hanno rimandato l’accantonamento delle perdite attese finendo per annacquare i bilanci. Senza contare i casi di operazioni fraudolente che hanno depauperato il patrimonio di vigilanza, come nel caso di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, le cui crisi sono frutto di un sistema bacato di potere.
Onado si chiede se le nuove regole varate in molti paesi sono in grado di ripristinare gli aspetti virtuosi del nesso tra finanza e sviluppo economico. Ai lettori scoprirlo.
Tito Boeri ha tutta la nostra stima. Senza dubbio è stata la migliore nomina di Matteo Renzo da presidente del Consiglio. La determinazione con cui si batte per limitare l’abnorme potere dei sindacati nel marasma dell’elefantiaca struttura barocca dell’INPS ha tutto il nostro plauso.
Gli scontri tra Boeri e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti sono un buon esempio della mancanza di cultura statistica nei nostri governanti. Mentre Boeri documenta le proprie affermazioni, Poletti parla con il solo fine di tutelare i sindacati e coloro che sono già in pensione. Ai giovani chi ci pensa? Ha dell’incredibile la risposta di Poletti a Boeri che intendeva limitare i sussidi insiti nel sistema retributivo a favore dei sindacalisti. Ne ha parlato Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, con un titolo che parla da sè: Il trucco delle pensioni triple. In sostanza oltre 1.400 sindacalisti prendono una pensione senza senso (rispetto ai contributi versati) valorizzando in modo clamoroso gli ultimi anni dei loro distacchi sindacali. La Corte dei Conti ha messo dei paletti ma Poletti li vuole far valere solo per il futuro. Chi paga, intanto? I giovani, che sussidiano i sindacalisti, che stanno al mare quattro mesi in panciolle.
Boeri ha rielaborato, ampliandolo, il testo di una lectio magistralis e ne è uscito un volume di facile lettura, Populismo e stato sociale, (Laterza, 2017). Vi trascrivo un passaggio di pagina 33, che dà l’idea come il nostro welfare state sia fallimentare: “In Italia solo tre euro su cento erogati per prestazioni sociali vanno al 10% più povero della popolazione, mentre spendiamo quasi cinque miliardi di euro in misure assistenziali destinate al 40% della popolazione con redditi più alti”
Lorenzo Bini Smaghi – già membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea – ha scritto La tentazione di andarsene. Fuori dall’Europa c’è un futuro per l”Italia? (il Mulino, 2017). La tesi di Bini Smaghi è che i problemi che attanagliano il Belpaese e non gli consentono di crescere come gli altri Paesi europei sono di lunga data, non sono dovuti all’euro. Ne consegue che “la difficoltà di riformare diventa un alibi per accettare l’immobilismo”. Oppure che “l’Europa viene così resa responsabile di tutti i problemi, con l’effetto di allontanarei cittadini dal senso di comune appartenenza”
Il volume è suddiviso in agili capitoli che inchiodano l’Italia alle proprie responsabilità (“Sta in noi”, Menichella, cit.). Il titolo dei singoli capitoli parla da solo: “Non è colpa del cambio dell’euro” (vedasi post sul capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi), “E’ la produttività, stupido!”, “Non è l’austerità”, “Troppi risparmi, pochi investimenti”.
Non solo economia, abbiamo detto all’inizio. Allora, coerentemente, segnalo due libri che mi hanno emozionato: La seconda vita di Annibale Canessa (Rizzoli, 2017), di Roberto Perrone (giornalista sportivo, ex Corsera), e La lista (Rizzoli, 2017) di Lirio Abbate, giornalista dell’Espresso.
Nel suo romanzo noir Perrone ci guida nei meandri della corruzione che caratterizza l’Italia, che non esclude il mondo della magistratura. Si parte dagli anni Settanta e si arriva fino ad oggi. Il ritmo è avvolgente. Non si riesce a smettere e in una notte il volume si esaurisce (purtroppo) con molti colpi di scena. Non si svelo nulla a vostro beneficio. Fidatevi.
Lirio Abbate è un giornalista dell’Espresso che va in giro con la scorta perchè più volte minacciato dalla criminalità. La lista. Il ricatto alla Repubblica di Massimo Carminati è il racconto (vero) della rapina del secolo del 1999 a Roma. Un commando di criminali svuota il caveau della banca del Tribunale di Roma di Piazzale Clodio. Alla guida della banda c’è Massimo Carminati, er Cecato, recentemente condannato in primo grado a 20 anni di reclusione, per associazione a delinquere, condizionando l’amministrazione della Capitale, in mano a criminali di prim’ordine.
Carminati, nella sua lunga vita processuale, fu anche accusato di essere l’esecutore materiale il 20 marzo 1979 l’omicidio di Carmine (detto Mino) Pecorelli, giornalista investigativo di OP con ottime fonti. Nell’aprile 1999 la Corte d’Assise di Perugia lo assolve dall’accusa per non aver commesso il fatto.
Antonio Mancini, pentito della Banca della Magliana, disse al processo: “Fu Massimo Carminati a sparare a Mino Pecorelli insieme ad Angiolino il biondo (il Mafioso siculo Michelangelo La Barbera, ndr). Il delitto era servito alla Banda della Magliana per favorire la crescita del gruppo, favorendo entrature negli ambienti giudiziari, finanziari, romani. Quelli che detenevano il potere”.
Massimo CarminatiCarminati faceva parte dei NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari, organizzazione criminale della destra eversiva, a cui appartenevano anche Giusva Fioravanti (condannato all’ergastolo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980) e Alessandro Alibrandi. Quest’ultimo – morto in uno scontro a fuoco con la polizia nel 1981 – era figlio del potente magistrato dell’Ufficio Istruzione della Procura di Roma Antonio Alibrandi, che – con il collega Luciano Infelisi – , fu il protagonista dell’attacco politico-giudiziario alla Banca d’Italia guidata dal quel galantuomo di Paolo Baffi il 24 marzo 1979, a soli quattro giorni dal delitto Pecorelli.
La storia d’Italia la si può capire meglio partendo dalle vicende torbide e occulte. Il ricatto ad avvocati e magistrati romani che è seguito al furto nelle cassette di sicurezza nel 1999 aiuta a fare un po’ di chiarezza. Solo alcune cassette di sicurezza vennero aperte. Tra cui quella di Orazio Savia, pm che nel 1997 venne arrestato e condannato per corruzione. Anche Domenico Sica fu rapinato. Sica fu colui che sottrasse a Gherardo Colombo e Giuliano Turone l’indagine sulla P2 della Procura di Milano. Eravamo all’epoca del “porto delle nebbie”. Fortunamente oggi alla procura di Roma ci sono Giuseppe Pignatone e Paolo Ielo.
Buona lettura e buone vacanze. Ci rivediamo a settembre.