La City dei TartariIl tempo del Quasi (Terre immaginarie)

E, se ci fossimo sbagliati? mi chiede Chuck Klosterman, dalla copertina del suo denso saggio ('But what if we were wrong?’ Blue Rider Press 2017) , sottotitolato 'Thinking about the present as if i...

E, se ci fossimo sbagliati? mi chiede Chuck Klosterman, dalla copertina del suo denso saggio (‘But what if we were wrong?’ Blue Rider Press 2017) , sottotitolato ‘Thinking about the present as if it were the past‘.

Bella domanda, Chuck. E ti rispondo che, probabilmente, anzi, con un certo livello di certezza, ci siamo sbagliati.

Il libro di Chuck è un’analisi di quello che immaginiamo sia giusto, di quello che reputiamo sia importante, ma nel presente. Con esempi da vari ambiti, dalla letteratura alla politica, attraverso la musica. Cosa rende un autore di oggi importante domani? Quali processi cognitivi, storici rendono qualcosa memorabile nei secoli, un evento storico definitivo, un disco epocale e seminale, mentre, in molti casi, autori, cantanti, politici rimangono di nicchia, trascurati dalla storia e dalla loro stessa epoca? E cosa accade quando, invece, alcuni autori diventano famosi solo dopo la loro morte, come Melville e Shakespeare? Fra duecento o quattrocento anni, invoca Chuck, chi sara’ considerato il rappresentante dell’epoca del Rock in un’ipotetica università degli studi del Secondo Millennio? Chuck Berry o Bob Dylan? Esistono autori, nascosti nel dark web, nei meandri della rete, che valgono come i grandi riconosciuti scrittori? Esiste un Philip Roth dei blogger?

Senza addentrarmi oltre nel saggio, che consiglio di leggere, la domanda principale del titolo del libro è chiara: e se ci fossimo sbagliati? Non nella scelta del vino da abbinare al pesce, non nelle decisioni minime della vita, ma nel considerare grandezza quella che non era o per tralasciare ed ignorare valori e meriti in persone o movimenti sociali e culturali.

Quindi, la domanda di questi giorni è, ma se ci fossimo sbagliati a considerare capacità e possibilità di ricambio quella che era una maniera come un’altra per un accesso veloce al potere, al ricambio ‘generazionale’, ma tralasciando la traslazione delle motivazioni, degli obiettivi. E se avessimo permesso alla furia del cambiamento, alla velocità di dettare le condizioni alla profondità delle esigenze collettive e sociali? Sempre più nel dettaglio, e se ci fossimo sbagliati a far parlare le pance e le mille compassionevoli scuse, piuttosto che un’azione di rinnovamento vera, basata sulle competenze? Ci siamo sbagliati nel permettere alla cultura del lamento, alla marea senza controllo della comunicazione moderna di prendere il posto del dibattito, del futuro reso politica, o, come amano dire nei circoli bene, ‘policy making’?

Abbiamo, forse, permesso al ‘meno peggio’, all’approssimarsi ad un ‘meglio di altri’, di intraprendere un percorso di decine di passi costruiti sul ‘quasi’, sull’abbastanza buono, sul ‘vedrai che tutto si aggiusta’?

Il tempo del ‘Quasi’, come contrappunto al percorso di ‘prova e riprova’, domani sarai piu’ fortunato, se ti sarai impegnato. E se ci fossimo sbagliati, a pensare che le speranze si debbano esaudire nella celerità, in misure di centinaia di giorni? La tentazione era ed è ancora forte: pensare che esista una ricetta magica, una pozione od un concetto filosofale che risolva ogni tipo di problematica nel giro di mesi o pochi anni, inclusa l’inadeguatezza dei meccanismi politici, per non parlare delle persone.

Ognuno, credo, ha i suoi esempi, di grandezze e trionfi costruiti sui social media, sulle promesse senza profondità di analisi, di dati riletti ed interpretati in maniera ambivalente, di come gli eventi possano essere letti e riletti dalle stesse persone, a seconda del vento che spira. E sfruttando la generale incapacità di discernere fatti e opinioni, esperienze, esperti ed Esperidi.

Il ‘Quasi’ domina, l’approssimare per non osare chiedersi ancora una volta: ma se avessimo davvero sbagliato tutto? Non ora, forse, che non possiamo prenderci tutte le responsabilità noi, quelli che sono a cavallo fra i trenta ed i cinquanta anni. Che, in fondo, non solo questo mondo, questo paese, questo continente, ce li siamo trovati, ma, addirittura, con le generazioni prima, quelle che ‘possono godersi il futuro che gli rimane’ ancora sedute ai loro posti e con i giovani, i ‘più’ adatti al futuro che ci si prospetta‘, già a spingere ed a chiedere quello che, giustamente, gli spetta.

Abbiamo sbagliato tutto quando abbiamo dato fiducia a chi ci dava credito, a chi ci faceva credere che i mercati finanziari non sarebbero mai crollati? Abbiamo sbagliato quando siamo stati convinti ad accontentarci di lauree brevi, a corsi di formazione senza densità, a chi ci ha costretto a partire, poltrire o vivere nelle mille e mille battaglie quotidiane con una struttura sociale asfittica e infrastrutture economiche e politiche valide forse un secolo fa?

Abbiamo sbagliato tutto ad accontentarci ai dibattiti in rete, quando potevamo essere in piazza, per strada, fra i nostri simili, a chiedere cose importanti, di lungo periodo? Invece, abbiamo abdicato al primo manipolo di chi ci diceva che la ricetta era facile, a chi continua a dircelo senza vergogna.

La fatica, il sudore, il sacrificio, l’annientamento delle speranze di una generazione o due erano, forse, l’unico viatico per permettere a questi giovani che ci guardano di sperare, in un paese piu’ giusto, in un sogno europeo, italiano, di diritti, di doveri, anche, ma soprattutto di futuri possibili.

Abbiamo sbagliato tutto? O, qualcuno ce lo chiederà, non è che ora siete melanconici e semplicemente gelosi di chi ha usato le vostre energie, le vostre idee per arrivare in cima a qualche posizione di vantaggio o per mantenerle?

Probabilmente. Probabilmente colpisce lo spreco, la costruzione docile e paziente del futuro esacerbata e resa un’antinomia di un ottimismo senza freni e senza domande. Senza questioni. Con me o contro di me. Con noi o fuori. Invece, diciamocela così, ci ha fregato la prospettiva, ci ha illusi l’attesa messianica di uomini forti e decisi.

Tornerà il tempo di costruire, di elaborare pensieri concreti, idee, di estrapolare quello che ognuno di noi sa fare bene nelle sue giornate, nel suo lavoro, nelle sue attività, che sia quella di chi si occupa di finanza, fino a chi sa fare bene il pane, in azione politica. Nel senso di azione che cambi la realtà, che metta in circolo una nuova idea di profondità in politica, uno spostamento dell’orizzonte temporale, delle aspettative da veloci e superficiali a razionali e ben cogitate.

Il tempo del migliorare, contro la dottrina del quasi, del ‘un aiutino, per favore’, del che tutto cambi perché’ niente, nei suoi concetti di base, non cambi. Mai.

——————————-

A volte, all’orizzonte, appare una terra che non esiste. Vedo montagne e catene di colline dove non dovrebbero esserci, secondo la mappatura del mondo. Accade quando sono in volo o dalla riva del mare. Terre immaginarie o isole di realtà parallele, altri mondi trasportati all’orizzonte della mia visuale.

A volte, lungo il confine fra la mia coscienza da sveglio ed il sonno, appaiono persone che non esistono, composizioni in forma umanizzata di desideri, attenzione e solidità morali. Accade spesso nelle notti di lune sospese per il loro lato crescente. Persone inesistenti che associo ad episodi, luoghi, volti, terrazze a mare o torri con vista sopra il mondo che ci circonda. Ed immagino che queste persone abitino in questa terra che non esiste sulle mappe. Si vive di questo, di terre immaginate, di posizioni politiche e personali, qualcuno li chiama ideali, altri strategie. Si vive di terre inventabili, modificabili, di persone salvifiche che arrivino, come le casacche blu, a risolvere gli assedi. Poi, si viene a scoprire che le terre lontane sono nuvole e, di fatto, non ci si puo’ costruire nulla sopra e la storia ci ha insegnato che le vittime spesso non erano i coloni che portavano la modernita’ e le malattie alla frontiera americana, ma gli americani nativi.

Le persone immaginarie, le terre improvvisate dal cervello, le gerusalemmi del cielo, sono concetti insidiosi. Prima o poi si dissolvono o rivelano tutti i loro limiti. Ed in quei momenti, allora, cerco la terra vera, quella solida. Le navi nello stretto della Manica, che, perlomeno, vanno davvero da qualche parte. Cerco le persone in ciccia e anima con le quali non inventarmi altro che quello che possiamo organizzare, fare, costruire. Spesso, non sempre.’

KJ Okker

Soundtrack:

Mad by Perdurabo (David Arneodo)

https://www.youtube.com/watch?v=G2jbIvRjoDM

45 Mercy Street poem by Anne Sexton (ispirazione di Mercy Street di Gabriel, anche in versione cover dei Fever Ray)

https://www.youtube.com/watch?v=KuPMaERHM-g

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club