Negli ultimi anni la politica è diventata un terreno di scontro tra “moderati” e “populisti”. Anche la storica divisione tra sinistra e destra si è affievolita in ambito economico e si concentra principalmente su temi come immigrazione o diritti civili. L’arena politica è rappresentata principalmente da una divisione tra “centro” e “periferia”. Il primo rappresenta classi sociali che detengono ancora una forza economica (e quindi temono di perderla con i “populisti” al potere), mentre il secondo termine indica tutti i grandi sconfitti dell’ondata di globalizzazione e che adesso non hanno quasi più nulla da perdere.
Già, il quasi. Una persona povera in Occidente si differenzia da una persona povera in un paese in via di sviluppo per un solo fattore: la cittadinanza di un paese forte. Quel pezzo di carta vuol dire assistenza sanitaria, istruzione e persino il diritto ad emigrare. Nel 2016 ci sono stati più emigrati italiani che immigrati stranieri. Nonostante questi dati, la percezione nelle periferie è molto diversa. Un provvedimento come lo ius soli, a livello più psicologico che effettivo, rappresenta l’ennesima legge con cui diluire i pochi diritti rimasti agli “sconfitti italiani maggioritari” in favore dell’ennesima minoranza.
Mentre esiste una maggioranza silenziosa e dimenticata. Il cui interesse nel diritto di voto diventa sempre più debole e i post su Facebook sempre più inneggianti all’autoritarismo. Nessun governo può ormai gestire in autonomia l’economia nazionale, troppo esposta e dipendente dal movimento dei capitali e dai legami con l’estero. Ma l’egemonia culturale sì ed è un prosperare di movimenti che innalzano la barriera del “noi” contro il “loro”. Che poi il “loro” siano migranti, Unione Europea, banche, ecc… poco conta, l’importante è dare una prima forma di rassicurazione all’elettore smarrito circondato da un minimo di appartenenza alla comunità del “noi” del partito populista di turno.
E poi c’è la regina delle dimenticate. La democrazia rappresentativa a suffragio universale. Quel sistema che mal si sposa con la società attuale. Sia le élites sia i “periferici” mal la sopportano. Le èlites perché reputano uno spreco il diritto al voto di quegli zoticoni ignoranti xenofobi fascisti responsabili di abomini quali Brexit, Trump o la Le Pen, mentre i “periferici” perché vedono un sistema lento, immobile, incapace di andare diritto ai problemi veri (il lavoro) e sotto ostaggio delle grandi istituzioni politiche e finanziarie internazionali.
Il problema vero è che la democrazia moderna è nata con l’esplosione borghese, il cui crescente potere economico ha guidato le rivoluzioni in Inghilterra, Francia e USA nel ‘600 e ‘700. Un ceto di imprenditori, commercianti, artigiani la cui ricchezza li invogliava a desiderare il potere politico dei nobili (che vivevano di rendita) e a distinguersi dagli straccioni dei contadini in regimi in alcuni luoghi ancora feudali. Il problema è che adesso l’imprenditoria si è “finanziarizzata” e le aziende devono rispondere ai mercati non più a proprietari “fisici”, e i cui azionisti sono più interessati all’ottimizzazione della rendita finanziaria più che ad un effettivo coinvolgimento. E’ l’economia del “1%” contro il restante “99%” della popolazione, in cui le diseguaglianze volano tra rendite di posizione sempre più ricche e il mondo restante sempre più povero e precario. Con una importante differenza rispetto al passato.
Il povero oggi non è il contadino straccione del Settecento. Il povero oggi è il giovane architetto o avvocato di 30 anni che svolge professioni intellettualmente complicate con una retribuzione pari a 0. E non per uno stage, ma per anni interi. Le istituzioni “estrattive” hanno portato via il 9% del reddito da salario e trasformato in rendita da capitale tra gli anni ’90 e ’00 in Italia. La progressiva distruzione di un ceto medio dinamico e attivo fa crollare l’ossatura stessa dell’esistenza della democrazia. La rassegnazione di una persona a reddito zero mal si sposa col diritto/dovere di voto, soprattutto in un’ottica di progressiva distruzione del “privilegio individuale” in favore di un non determinato successo di una “flessibilità”.
La storia è implacabile quando si tratta di ricordare cosa accade se la democrazia è debole e i partiti al governo insensibili ai segnali. Hitler vinse libere elezioni e il suo programma politico, il Mein Kampf, è uno dei pochi casi al mondo in cui, una volta al potere, si rispettino le promesse elettorali. Purtroppo.