Senza quote rosaQuella madre orfana che accoglie donne vittime di violenza nella sua “Casa di Veri”

Gli amici la chiamano “Tina”, questa bellissima donna di 54 anni, all’anagrafe Clementina Ianniello. Clementina vive a Mondragone (Caserta) assieme al marito Lello, lavora in una clinica come anali...

Gli amici la chiamano “Tina”, questa bellissima donna di 54 anni, all’anagrafe Clementina Ianniello. Clementina vive a Mondragone (Caserta) assieme al marito Lello, lavora in una clinica come analista di laboratorio. Ha una splendida figlia, Ylenia, che le ha dato due nipotini adorati. Ma ne aveva un’altra, la sua indimenticabile secondogenita: Veronica Abbate, la cui vita è stata spezzata nel settembre 2006 a soli 19 anni. Un colpo di pistola del suo ex fidanzato Mario Beatrice, all’epoca allievo della scuola per marescialli della Guardia di Finanza a L’Aquila. Una storia fatta di tira e molla, il primo amore di Veronica: quella ragazza dagli occhi verde giada caldi e puliti come il suo cuore, alta e statuaria quanto intelligente, dotata di una irresistibile tenerezza. Ed era stato proprio Mario, quel primo indeciso e possessivo “fidanzatino”, a lasciarla definitivamente dopo quattro anni: solo che poi non era riuscito ad accettare che Veronica si stesse rifacendo una vita, avesse nuovi amici e un nuovo amore. Veronica frequentava solo il primo anno di università e sognava di diventare un medico.

Clementina ha una voce morbida e le spalle larghe, forti. È un ciclone di passionalità: così mi sembrava, già, quando avevo la fortuna di incrociarla in tv o nel web. È stata soprattutto lei a farmi appassionare (nell’accezione militante e più costruttiva del termine) alla storia della povera Veronica: il suo calore di madre e la sua rabbia infuocata d’amore. Mi sono occupata della sua storia e l’ho raccontata. Torno a parlare di lei a distanza di due anni.

Clementina si è sempre definita una “madre orfana”, ma dietro questa paradossale e riduttiva locuzione non c’è semplicemente la perdita di una figlia. La famiglia di Veronica non è orfana solo per la morte prematura, difatti, di una ragazza meravigliosa, rea di aver preso in mano la sua vita e di aver deciso di farne qualcosa di speciale, di più adeguato alle sue possibilità: rea di aver deciso di diventare una donna libera. Quella madre, Clementina, si sente profondamente anche “orfana” della giustizia. Condannato a trent’anni di carcere in primo grado, Mario Beatrice si è visto scontare la pena a 18 anni in appello (due di questi anni già scontati) e trasferire nel carcere di Bollate (struttura penitenziaria d’eccellenza). “Economia processuale, rito abbreviato, omicidio semplice – mi raccontò Clementina nel corso di una intervista – sono formule ingiuste, nel caso di un omicidio. È giusto che chi uccide, chi si erge all’Onnipotente recidendo la vita di una giovane donna, sconti una pena giusta, lunga ed esemplare.” Ed è per questo, per proteggere le altre Veronica che vengono uccise in Italia con la frequenza di una ogni tre giorni, che Clementina ha avviato una vera e propria battaglia. Dapprima, nel 2009, si inchiodò assieme ad altre madri col suo stesso destino di fronte al Ministero di Grazia e giustizia, praticando lo sciopero della fame: l’obiettivo era ottenere un disegno di legge che, appunto, escludesse questo genere di formule dai processi per chi si macchia d’assassinio. Disegno che fu presentato, ma si risolse in un nulla di fatto.

Soprattutto, però, nel 2013, Clementina è riuscita a istituire un centro d’accoglienza per le donne vittime di violenze. Un luogo dedicato proprio alla sua Veronica: “La casa di Veri”, una villa confiscata alla Camorra, tra le cui mura sicure, oggi, le donne piegate dalla vita riescono a rinascere. “Veri è il diminutivo di Veronica, ma anche, nel mio cuore, un importante acronimo: Verità, Emancipazione, Rispetto, Impegno. Mia figlia era il ritratto vivente di tutto questo, e mi auguro che le ragazze della Casa di Veri, oggi, tornino alla vita con questo stesso piccolo tesoro.” Temperamento inarrendevole, quello di Clementina. Che vede entrare ragazze spesso accompagnate dai loro bambini, accartocciate nella postura e nel cuore, e insegna loro, con l’aiuto di specialisti, a riconquistare quella libertà costata così cara a sua figlia. “Dobbiamo proteggerle – spiega oggi – e mettere in galera gli assassini e gli stalker. Tantissime sono le donne sul territorio che si ribellano, ma molte altre continuano a chiudersi nei loro silenzi, perché non hanno il coraggio di denunciare. Questo succede anche ai tempi lunghi della giustizia italiana”.