Esistono molti modi di commentare una partita di calcio, fermo restando che non è certo il medico a obbligarci. Ci si può chiedere quanto alcool abbia assunto l’arbitro prima della gara, perchè francamente quello era rigore netto ma lui mica lo ha visto. Si può pensare che difendersi e basta sia l’anticalcio, che sì la Germania degli anni Settanta è quella ricordata negli annali, ma nella memoria della gente c’è l’Olanda, quella sì che giocava bene. Si può pensare, ecco, che ieri sera la Juventus a Wembley contro il Tottenham non abbia giocato, pur vincendo. Che Allegri non capisce nulla. Che Harry Kane sia il miglior prodotto del calcio da ah, da quando Lampard non gioca più (semi-cit.), ma che la qualità sia nulla senza controllo (altra semi-cit.).
Ecco, il controllo. Cominciamo da qui per ciarlare in tutta libertà di Tottenham-Juventus, ottavo di finale di ritorno di Champions League che ha visto i bianconeri passare il turno con l’1-2 ottenuto in rimonta. Il controllo della partita, quello che devi avere per 90 e passa minuti. Nel primo tempo, il controllo è del Tottenham, che scende in campo con una formazione speculare, sulla carta, a quella degli opponents. Un 4-3-3 che vorrebbe Dier, che nasce difensore centrale ma che viene ormai avanzato al centro del campo, perno in mezzo con Eriksen e Dembelè alle spalle di Kane unica punta e Son e Alli al suo fianco. La Juve giocherebbe anche a specchio, se non fosse che di fatto la difesa diventa più a 3 che a 4, disponendo di Barzagli terzino destro ma centrale per vocazione ed esperienza, ma anche per un dettame tattico che non parrebbe avere granchè senso: impedire ad una sola punta di avvicinarsi all’ingresso in area con tre buttafuori, ripiegando poi con tutto il centrocampo.
Probabile che Allegri non si aspettasse un Tottenham già aggressivo nella prima frazione di gioco. Fatto sta che, seppur involontariamente, l’atteggiamento degli Spurs si è evoluto nella situazione migliore per i bianconeri. La Jve, come ben sppiamo, in campionato è abituata a comportarsi come un seprente velenoso, avvolgendosi pian piano attorno alla preda e anestetizzandola, per poi aspettare che finisca di dimenarsi e colpirla. Se la Juve avesse vinto a Torino – escludendo un vantaggio incolmabile tipo 3-0, come forse sarebbe accaduto se Higuain non avesse sbagliato il secondo rigore -, paradossalmente ma anche più probabilmente avrebbe rischiato l’uscita dalla Champions, perchè un conto è anestetizzare l’avversario e colpirlo partendo sulla base di un pareggio (2-2 dell’andata qui in Champions, 0-0 in qualsiasi gara di campionato), un altro è gestire un vantaggio contando solo sulla fase difensiva. Ieri sera la Juventus ha avuto tutto il tempo di difendere un vantaggio contro un avversario che nel primo tempo è apparso più ordinato, come si può dedurre dal posizionamento quasi geometrico dei compagni alle spalle di Dier mentre quest’ultimo sta concludendo verso Buffon.
Ma le geometrie da sole non bastano, se all’ordine vero o supposto non corrisponde una copertura del campo capillare. Da qui passa il controllo della partita, che Allegri assume nella ripresa. Se si vede già quest’altro frame preso da un contropiede imbastito dalla Juve, fermato poi per fuorigioco di Higuain, si nota come il riposizionamento del Tottenham in fase di ripiegamento lascia due opzioni a chi può rilanciare il contropiede: ok, marchiamo Higuain, ma le fasce? Il Tottenham può andare in sofferenza, se attaccato con il giusto appoggio per la profondità.
Ecco che allora nella ripresa il controllo totale della gara passa per l’occupazione omogenea del campo da parte della Juve, pronta così a sfruttare gli spazi lasciati dal Tottenham. Con l’innesto di Lichtsteiner e Asamoah, Allegri può avere un ampio spettro di soluzioni offensive che gli garantiscono spinta (Lichtsteiner) e palleggio (Asamoah) anche sugli esterni, mancando quello che è in grado di fare entrambe le cose, cioè Mario Mandzukic. L’importante in questi casi è che ci sia Dybala, come vedremo soprattutto nel secondo gol, ma anche nel primo. In fondo, lo suggerisce anche la heatmap della gara, con le aree rosse dello schema di destra rappresentato dalle zone d’azione tra centrocampo e attacco dei tre giocatori di cui sopra.
Ecco che allora il pareggio nasce da questa possibilità di sviluppo di gioco ad ampio spettro e che allo stesso tempo smonta le ambizioni del Tottenham e chi pensa che avere gioco significhi solo ed esclusivamente produrre trame complesse dello stesso, senza cedere alla banalità del catenaccio. La Juve che pareggia è una Juve che dopo aver difeso può colpire l’avversario, giocando il pallone dalla propria difesa e trovando il pallone giusto dalla corsia di destra, scovata dal Dybala libero di svariare sul fronte della trequarti. Già: l’occupazione dello spazio prevede che il centro non sia trascurato. Lì c’è Paulo, che come ha già imparato a fare lo scorso anno agisce silenzioso dietro Higuain, pronto a servirlo (o a farsi servire) creando gli spazi per un dai e vai, o liberandolo di onerose marcature. Il raddoppio della Juve arriva da un dialogo tra i due: senza più un Matuidi poco produttivo (e infatti tolto), a centrocampo chi resta a presidio lo fa basso, permettendo alla coppia argentina di occupare la trequarti per giocare come meglio sa.
Ed ecco il risultato.