Se si pensa al Giappone non esiste figura più magica di quella della geisha. Artista, entraineuse, raffinatissima seduttrice, questa figura femminile ha fatto sognare artisti di tutto il mondo. Quando a fine ‘800 il Japonisme esplose a Parigi, la geisha affascinò gli artisti più importanti dell’epoca: Monet dipinse la moglie con kimono e ventaglio, Van Gogh, che tanto amava il Giappone, creò La Cortigiana, Puccini scrisse Madama Butterfly. Parallelamente il kimono iniziò ad influenzare la moda dell’epoca per la sua raffinata bellezza e l’estetica giapponese che nelle geisha si esprime ancora oggi attraverso elaborate acconciature tradizionali, i preziosi hana kanzashi (gli ornamenti floreali per capelli) e il make-up sofisticatissimo (il bianco oshiroi) divenne un modello inarrivabile.
Di certo quello che ha reso la geisha un mito tutto al femminile è stata anche la difficoltà oggettiva di poterle incontrare. Fin dai tempi di Yoshiwara – il quartiere di piacere dell’antica Tokyo, oggi situato nella parte nord di Asakusa – le ochaya (le case da tè dove si esibiscono le geisha durante gli ozashiki serali, i geisha party) sono luoghi nascosti, simili a dei club esclusivi, dove per essere ammessi, serve la presentazione di uno dei membri. Infatti oltre ad essere facoltosi, in questi posti bisogna “sapersi comportare” perché la geisha è prima di tutto un’artista votata alla difficile arte dell’intrattenimento. Per essere ammesso al cospetto delle geisha, un cliente abituale della casa del tè deve presentarti e introdurti e, per tutta la serata, lui sarà responsabile per te, per il tuo comportamento.
La formazione delle geiko (geisha) – di cui si fa carico l’okiya, la casa delle geisha per cui l’artista lavora e in cui di solito vive – nel canto, nella danza, nella musica, nella conversazione, inizia prestissimo e prosegue incessante per tutta la vita. È anche per questo connubio tra studio e arte dell’intrattenimento che la figura della geisha ha sempre un po’ disorientato, facendo sorgere molti dubbi su dove finisse il kimono e iniziasse il lenzuolo. Di certo, nella complessa gerarchia del mondo del piacere giapponese le geisha non possono essere paragonate alle cortigiane che invece vengono chiamate oiran. Quest’ultime si differenziano dalle geisha anche nel modo di vestire, dato che spogliandosi molto più spesso portavano l’obi (la cintura del kimono) legato davanti e non dietro. La geisha invece non è una cortigiana e le prestazioni sessuali non sono tra quelle previste nel suo lavoro.
La figura della geisha sta però piano piano scomparendo: l’intrattenimento di una geisha ha ancora oggi costi elevatissimi e sono sempre meno i danna, i patroni benestanti che sostenevano economicamente le loro geisha preferite e le relative okiya. Anche i quartieri di piacere dove si trovano le ochaya sono sempre più ristretti. Il più famoso ed esteso è senza dubbio quello di Gion a Kyoto ma il più antico e raffinato è il Kamishichiken. In tutto i quartieri delle geisha (gli hanamachi) sono cinque. Famose case da tè sopravvivono tutt’oggi anche a Tokyo, alcune nel quartiere di Kagurazaka, altre a Asakusa. Stanno parallelamente diminuendo anche “le vocazioni” di giovani giapponesi che desiderano intraprendere questa carriera fatta di studio e sacrifici – la scuola da maiko, apprendista, dura cinque anni – e di fatto l’arte della geisha rischia di scomparire.
“Non possiamo vivere una vita in un mondo perfetto ma la bellezza del mondo delle geisha è quanto più si avvicini alla perfezione, su questa terra. Con #AGeishaDay desidero far comprendere a tutti quale meraviglia possa essere una geisha. Perché? Molti sembrano essere a conoscenza della sua esistenza, ma senza capirla abbastanza da apprezzarla come meriterebbe. Per questo voglio lasciare, ovunque, delle piccole briciole che portino le persone ai cancelli di questo mondo incantato. Sarebbe davvero un peccato se l’arte della geisha scomparisse per sempre” spiega Miriam Bendìa, scrittrice e appassionata di arte e cultura orientale che ha dedicato alle geisha un blog (occhidaorientale.net), i workshop “Lezioni sull’Arte della Geisha®”, scritto due libri, “Diario di una maiko” (Casadei Libri Editore, 2009) e “Iroke Cuore di Geisha” (Editore Lulu, 2015), e che dal 2005 frequenta assiduamente il Giappone. Miriam dal 6 al 16 settembre organizza, a Roma, il primo Festival dedicato a questa affascinante figura e alla sua cultura, portando in Italia tre geisha e una hangyoku (apprendista).
Il festival si sviluppa come un’esperienza diretta con le geisha, permettendo agli ospiti di vivere un giorno insieme a loro. Sarà possibile assistere a lezioni di arti tradizionali, alla creazione del tipico make up bianco oshiroi, alla vestizione del kimono e infine all’ozashiki (il geisha party serale). #AGeishaDay sarà un’installazione a cielo aperto, una performance artistica in grado di immergere lo spettatore in un mondo di tradizioni secolari, per certi versi opposte a quelle occidentali, e dunque proprio per questo dotate di una forza attrattiva fuori dal comune ai nostri occhi.
Il programma del Festival, in continuo aggiornamento, è consultabile a questo link: https://occhidaorientale.net/2018/08/15/il-festival-itinerante-ageishaday-il-programma/
Per le prenotazioni dei workshop scrivere o telefonare a: +39 347 5406062 – [email protected]
Credit foto: Dave Lumenta