L’evoluzione della situazione in Libia rischia potenzialmente di mettere a repentaglio le relazioni con l’Italia. È un rischio che corrono tutti i paesi occidentali ma che, per intensità di rapporti politici ed economici, minaccia maggiormente l’Italia, primo partner commerciale di Tripoli.
Innanzitutto, la crisi in Libia può porre reali problemi di approvvigionamento energetico all’Italia. Le preoccupazioni appaiono giustificate nell’ipotesi di un procrastinarsi della situazione di instabilità nel paese nord-africano. Il gasdotto Greenstream, che porta il gas dalla Libia all’Italia, di proprietà di Eni e della compagnia nazionale libica, sta subendo temporanee interruzioni derivanti dalla problematicità della gestione della conduttura. La compagnia italiana ha deciso di svuotarlo, ma ha rassicurato tutti: la stagione invernale sta finendo. Nonostante a breve termine il livello degli stoccaggi sia rassicurante (la giacenza ammonta a 3,8 miliardi mc) in prospettiva di più lungo periodo si aprono scenari inquietanti. La Libia è il primo fornitore di greggio dell’Italia e il terzo di gas. L’Eni vanta una posizione di leadership tra le compagnie internazionali che operano nel paese con investimenti di lungo periodo (2042 per la produzione di greggio, 2047 per quella di gas) e una produzione complessiva che supera i 520 mila boe (barili di petrolio equivalenti).
La situazione di conflitto tra rivoltosi e quel che resta del regime libico rende incerto il futuro delle relazioni con il paese nord-africano. Gli scenari sono racchiusi tra due estremi entrambi negativi: da una parte l’ipotesi di una divisione del paese, un frazionamento dettato dal prevalere dei rapporti clanici, che potrebbe vedere Cirenaica e Tripolitania divise; dall’altra la possibilità che Gheddafi resti al potere e scateni una guerra per la riconquista delle zone di cui ha perso il controllo.
Anche se Gheddafi rimanesse al potere e riuscisse ad arginare la rivolta – prospettiva comunque poco probabile in questo momento – sarebbe difficile poter tornare ad accoglierlo come partner alla pari. Negli ultimi 15 anni il Colonnello aveva faticosamente riguadagnato credibilità dopo un lungo percorso di reinserimento nella comunità internazionale. Aveva rinunciato alle armi di distruzione di massa e, dopo l’11 settembre, aveva cominciato a collaborare nella lotta globale al terrorismo. L’Italia aveva contribuito più di tutti i paesi a questo processo di avvicinamento all’Occidente. I nostri governi avevano importanti motivazioni economiche per farlo e hanno ottenuto buoni risultati. Gli eventi di questi giorni hanno azzerato questo percorso e riportato la storia agli anni Ottanta quando il Rais era il Mad Dog dell’amministrazione Reagan.
L’Italia dovrà – suo malgrado – prendere atto di questa evoluzione, abbandonare ogni tentazione di continuare battaglie di retroguardia e dovrà essere capace di identificare i nuovi interlocutori libici, economici e politici, prima che essi vadano al potere. Una capacità che, in passato, l’Eni di Mattei ha avuto in Algeria e in altre parti del mondo e che ha consentito alla nostra compagnia petrolifera di anticipare i tempi e salvaguardare gli interessi nazionali. La Francia di Sarkozy, che pure ha ospitato la tenda di Gheddafi davanti al Municipio parigino, con la richiesta di sanzioni fatta in questi giorni, ha decisamente cambiato registro. Altre potenze e forze sono pronte ad approfittare del nuovo scenario geopolitico.
In Cirenaica, in particolare, sarà opportuno cominciare a chiarire chi tiene le leve del comando, come funzionano i rapporti clanici e quali siano le aspirazioni della popolazione. È ora di intessere relazioni a più basso livello di quello della stretta cerchia di amicizie di Berlusconi e Gheddafi. Ed è adesso il momento di farlo anche se la situazione sul terreno appare ancora molto incerta. In Libia non esiste un esercito forte che possa fare da garante, le divisioni claniche all’interno del paese si riflettono in esso. La classe borghese – una novità degli ultimi cinque o sei anni – è limitata, ma sarà probabilmente tra di essa che vi saranno i regnanti della nuova Libia. Il paese non potrà rinunciare alle competenze necessarie per la gestione del paese e dell’industria petrolifera (i proventi dell’energia costituiscono il 95% delle entrate del paese). È in questo momento che la futura classe dirigente, di qualsiasi estrazione sia, si sta facendo un’idea dell’affidabilità dell’Italia nelle loro battaglia per la liberazione da un regime oppressivo.
Ogni scelta è figlia del suo tempo. È inutile ora volgersi al passato e polemizzare se fosse opportuno o meno stringere un’amicizia tanto stretta con il Colonnello. Sarebbe invece deleterio pensare che i rapporti con Gheddafi abbiano ancora un futuro.
*ricercatore Ispi