La lobby leghista e i rami secchi

La lobby leghista e i rami secchi

Le ramaglie non sono tanto spesso al centro delle cronache. Sfrondature di alberi e sfalci di verde – effettivamente – hanno ben poca attrattiva. Eppure, in Italia, anche sui rami potati e sull’erba del vicino si scatena la guerra di lobby. In materia, le leggi cadono come le foglie (la normativa è stata cambiata tre volte dal 2006, mentre un quarto intervento è allo studio del Parlamento) e gli enti locali rischiano di fare investimenti sbagliati, dovendo seguire regole che si avvicendano come le stagioni.
Anche Quingentole, come le ramaglie, non è troppo abituata a stare al centro delle cronache. Si trova nel Destra Secchia mantovano, ha 1.200 abitanti e un’economia basata sull’agricoltura. Eppure, nell’Italia del Gabibbo che se non risolve i problemi cerca almeno di apparire in prima serata, vanta adesso una visita delle telecamere di Striscia la notizia.

Da qualche mese c’è a Quingentole (e anche in tre comuni vicini) un impianto a biomasse vegetali che si alimenta a legno triturato (in gergo tecnico, «cippato») capace di garantire l’autosufficienza energetica alla scuola, al municipio, al teatro, al centro sociale, a un edificio polivalente e alla palestra. E dal giugno scorso il paese ha anche una piazzola di raccolta provinciale di ramaglie realizzata con soldi pubblici (200mila euro della Regione Lombardia) e inaugurata in pompa magna. Senonché, il 3 dicembre scorso, poche righe in un sottocomma del decreto legislativo 205 rovinano la festa all’amministrazione comunale. E a molte altre.

La vecchia legge prevedeva che potessero essere considerati «sottoprodotti» (quindi utilizzabili come combustibile nelle centrali a biomasse) anche «i materiali vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato». Il nuovo testo, invece, salva quelli provenienti dall’agricoltura ma classifica gli sfoltimenti urbani come «rifiuto» e come tale ne impone lo smaltimento.
«Insomma», si scalda il sindaco di Quingentole Alberto Manicardi, «se poto un albero in un giardino privato o pubblico, ho automaticamente un “rifiuto”. Se a venti metri di distanza poto un albero nel campo di proprietà di un coltivatore diretto, posso considerarlo “sottoprodotto” e utilizzarlo come risorsa energetica. Un’assurdità. Qualcuno con interessi economici concorrenti deve aver spinto in Parlamento…».
Il fatto è che la forte crescita degli impianti a biomasse in Italia (soprattutto al Nord) ha sottratto materiale a chi si occupa di compostaggio, ovvero della trasformazione dei rifiuti in concime organico. Il settore aveva fatto sentire la sua voce e la norma introdotta a dicembre era pensata per evitare che gli impianti a biomasse rastrellassero dal mercato tutto il verde disponibile.

Oltre al rischio di trasformare la piazzola da 200mila euro di Quingentole in un’opera inutile, per i comuni il cambiamento comporta un aggravio di spese. «Smaltire una tonnellata di ramaglie come rifiuti ci costa 44 euro», spiega ancora Manicardi. «Usarla come sottoprodotto, appena 15 di trasporto; un terzo, quindi. Con in più, un ritorno di risparmio energetico». Il comune di Quingentole è piccolo e agricolo, per cui l’aumento dei costi per lo smaltimento sarà – dati delle potature precedenti alla mano – di circa 12 mila euro annui («mica pochi nelle condizioni attuali», ci tiene a puntualizzare Manicardi: «Considerate che riusciamo a stanziare per la Cultura meno di 10 mila euro). Ma appena il territorio urbanizzato si fa più ampio le cifre si impennano. Per le vicine Pegognaga e Sermide (non proprio metropoli: rispettivamente 7.280 e 6.430 abitanti) si arriva a circa 100 mila euro. Figurarsi nelle città. La nuova legge potrebbe far saltare parecchi bilanci o quanto meno i piani finanziari dei rifiuti.

«Un dato complessivo di quanto quelle poche righe di decreto costeranno agli enti locali è ancora lontano», dice un altro sindaco, Andrea Bassoli, primo cittadino nella vicina Pieve di Coriano. «Stiamo lavorando in sede Anci per arrivare a una quantificazione. Ma ci siamo fermati dopo mercoledì».
Sì, perché il 9 febbraio sono iniziati in Commissione Ambiente alla Camera i lavori sul testo del decreto legislativo che dovrebbe attuare la direttiva europea «sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili» (la2009/28/CE). E si annuncia l’ennesimo dietrofront sulle ramaglie.
«Non so come a dicembre, negli anfratti governativi, sia potuta entrare quell’infelice norma. Ma», assicura il relatore del nuovo decreto, il leghista Guido Dussin, «noi la consideriamo profondamente sbagliata e siamo corsi ai ripari. Ottenendo l’unanimità, per fortuna. Le ramaglie non saranno più rifiuti e torneranno materia prima per produrre energia. Realtà virtuose già funzionano in molte località del Nord. Basta ostacoli: aiutiamo il territorio. Per questo abbiamo anche sostenuto il fotovoltaico a concentrazione al posto di quello al silicio dei pannelli solari: vogliamo tecnologia padana, non cinese!». L’iter del decreto, se non ci saranno problemi, sarà di almeno tre mesi. Il sindaco di Quingentole e i suoi colleghi tirano un sospiro di sollievo, rovinato però dalla constatazione che anche se tutto andrà liscio, «questa stagione di potature, ormai, è perduta». E poi un problema resta, ed è l’assoluta volatilità di ogni decisione.
Lo conferma anche il rappresentante della “lobby” che aveva vinto a dicembre, e che appena due mesi dopo rischia di essere sconfitta dagli antagonisti delle biomasse. David Newman, un inglese trapiantato da noi da 26 anni, è il direttore del Cic (consorzio italiano compostatori).

«Lo scriva: sono sconcertato dal fatto che in Italia non si riesca a far riunire a un tavolo i responsabili delle categorie del settore rifiuti. Siamo venti persone, non di più. Ci conosciamo tutti ormai, tra di noi. Ma mai il governo ci ha convocati collettivamente e ci ha detto: “Ok, organizziamoci. Facciamo una vera riforma”. Ho scritto anche alla Prestigiacomo, ma non è servito. Il perché non lo so. Forse c’è uno scollegamento dalla realtà, forse una non volontà politica o semplice incapacità… Rimaniamo al nostro caso ramaglie. Basterebbe decidere: facciamo 100 impianti a biomasse e 100 di compostaggio o 50 e 100 o 100 e 50. Basterebbe uno studio e una pianificazione. Ma non lo si fa. E allora ognuno va in Parlamento e tira acqua al suo mulino. Lo facciamo noi e lo fanno gli altri. E anche i partiti. Non a caso quello delle biomasse è un tema caro alla Lega. Nelle valli alpine e prealpine sono ormai numerosissime le centrali che utilizzano la legna delle foreste. E in quelle zone noi compostatori abbiamo problemi a reperire materia perché anche i contadini e i viticoltori preferiscono portare le potature alle centrali».
«Quanto a far valere i nostri diritti di categoria, non voglio svelarle i miei segreti del lavoro ma è una questione di relazioni. Io faccio questo mestiere da 15 anni. Bisogna seguire le attività parlamentari, le commissioni, e individuare all’interno delle istituzioni le figure chiave. In mancanza di programmazione e di riforme organiche ognuno si appella alle amicizie, insomma, alle orecchie che sanno ascoltare. Abbiamo sempre ottenuto qualcosa finora. Trovato persone sensibili. Adesso vedremo».  

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