C’è chi dice che l’invasione degli immigrati a Lampedusa sia, per la Lega, un toccasana. Mentre si avvicinano le amministrative, l’allarme clandestini non può che far gioco al partito che più li ha combattuti, almeno a colpi di slogan.
Tra le regioni che possono interessare a via Bellerio, due si trovano sugli avamposti di questa emergenza. Una – la Toscana – è ai confini della Padania. L’altra – il Piemonte – è al confine con quella Francia accusata «di non fare la sua parte» nell’accogliere chi è sbarcato a Lampedusa. In Toscana, gli animi si sono scaldati attorno alla vecchia base di Coltano, già campo di concentramento alleato. In Piemonte, nel Canavese, a Ciriè e a Front. Tre luoghi individuati, almeno in una prima fase, tra i possibili centri di smistamento per chi fugge dal Nord Africa.
Difficile mestiere la politica. Pur rivendicando il föra di ball di Bossi, i leghisti toscani (che da un anno sono entrati anche in consiglio regionale a Firenze; lato opposizione) si trovano in un certo qual modo a dover difendere l’arrivo degli immigrati deciso da Maroni («ma dei profughi, non dei clandestini!», precisano). Fuori dai cancelli della vecchia base di Coltano (Pisa) ci sono invece a protestare, con le bandiere e gli striscioni, i militanti del Pd. E il governatore Enrico Rossi si è detto disposto ad accettare la sua quota di nordafricani, ma non nel campo unico di Coltano, «scelto d’imperio» dal ministro dell’Interno.
Marina Staccioli, consigliere regionale del Carroccio, si scalda: «Già da giorni Rossi stava accusando Maroni in maniera cattiva, anche su Facebook. Secondo lui faceva propaganda, cavalcando la paura di un possibile arrivo di massa per scopi di campagna elettorale. Diceva che noi sfruttavamo la paura. La verità è che questi amministratori del Pd tanto buoni con gli immigrati professano la politica delle braccia aperte, ma mica da loro. Sarebbero ben contenti di vederli finire in Lombardia o in Veneto. Noi difendiamo Maroni e le sue scelte. La redistribuzione è necessaria vista l’emergenza straordinaria. Poi, per carità, capiamo la gente di Coltano, che è stanca. Ma lo è perché la sinistra ha piazzato lì un bel campo rom con tutti i lussi. Anche con i pavimenti di cotto».
E conclude: «Noi abbiamo, in Italia, purtroppo o per fortuna, una città chiamata “del Vaticano” e quindi prevale un certo buonismo, un porgi l’altra guancia. Ma ne abbiamo solo due di guance e di schiaffi siamo stufi. Ci siamo passati nelle guerre e per i profughi un posto e un pasto caldo c’è, ma per i clandestini no! Il föra di ball di Bossi? Mi ha riempito il cuore. Volevo quasi ripeterlo in aula al consiglio regionale, pronunciandolo così come mi viene, alla meglio, da toscana».
In Piemonte c’è uno dei leghisti che con gli immigrati è sempre stato più ruvido, Mario Borghezio. «Noi non abbiamo certo scoperto adesso il tema. Altri sì, anche tra i nostri alleati. Ci sono nel Pdl alcuni ex An che, finché stavano con Fini, si erano dimenticati la lotta ai clandestini Adesso? Tolleranza zero! A Torino questi ospiti (non so quanto gradevoli e graditi) si sono sfogati, con proteste e vandalismi perché la Francia non li fa entrare. Non si deve più permettere. Quindi, dico sì alla scelta di Maroni di accettarli come ospiti temporanei in Italia, ma adottando le necessarie misure perché questo non significhi libera licenza di girare per il nostro Paese. Vantaggi elettorali da questa situazione? Non saprei. In ogni caso, visto che il federalismo è purtroppo ancora in ballo e lontano da raggiungere, avremmo preferito rimanere concentrati su quello».
«La frase di Bossi? Un’espressione chiara di quelle che il popolo capisce subito e che dimostra una volta di più, se ancora ce ne fosse bisogno, che Umberto è un grande padre della patria, sempre attento alla difesa dell’interesse nazionale».
Nel canavese, il segretario leghista è l’onorevole Walter Togni. «No, no. Da noi risolto. Mi sono mosso subito. Ho parlato con Cota, coi ministri. Le sedi non erano idonee. Se arriverà qualcuno in Piemonte andrà a Torino, nell’area Continassa, vicino all’ex stadio delle Alpi. E poi è tutto un se. Non sappiamo niente. Né quanti ne verranno, né se verranno. L’importante è che non vengano nel Canavese. Il nostro territorio ha già tanti problemi. Non avrebbe retto a nuove tensioni sociali».
Anche lui ci tiene a ribadire la distinzione: «Profughi sì, che tanto sono pochi. Clandestini, no. Su tutte quelle migliaia di persone ci sono solo 160 tra donne e bambini. Vi pare possibile? Quando c’era la guerra di Bosnia scappavano solo loro, i maschi restavano là a combattere. Questi che fanno? Dai! Non vengano a raccontarci che sono profughi!».
Mentre parla al cellulare esce dalla Camera dei deputati e si trova nel mezzo di una contestazione: «Vergogna vergogna!», gridano. Urla e strattoni. È costretto a chiudere la telefonata. Poco dopo farà un sunto di quella concitazione: «Ci ha aggredito un gruppo di proprietari di case abusive della Campania, perché non abbiamo bloccato la demolizione. Capito? Robe da matti. Questo Paese non si salva più. E poi parliamo di Lampedusa…».
Appunto, parliamone: ma questa crisi immigrazione non farà comodo alla Lega? «È un discorso che sento fare. E che non capisco. Tra poco direte anche che l’abbiamo scatenata noi, per calcolo politico, la rivolta in tutto il Nord Africa». Ride. «Ci sopravvalutate. Se fossimo così bravi e forti, la scateneremmo nel Nord Italia…».