Tutti i “ma anche” di Stefano Boeri

Tutti i “ma anche” di Stefano Boeri

Boeri, pochi mesi fa, con la sconfitta alle primarie milanesi, lei e il Pd sembravate alle corde. Il primo turno delle elezioni ha detto invece tutt’altro. Il partito ha raggiunto il 28,63% e lei quota 12.861 preferenze, il secondo più amato dai milanesi dopo Berlusconi. Cosa è successo? Ora che siamo alla vigilia del ballottaggio si sarà fatto un’idea.
Siamo riusciti a far passare il messaggio: siamo noi il partito dell’innovazione. Del rischio come grande investimento sociale. Del riformismo radicale. Ovvero: siamo noi il movimento con la migliore aderenza alla realtà e alla società, ma allo stesso tempo con la più grande volontà di rivederle e correggerle. Questo ci ha permesso di coinvolgere pezzi sempre più grossi di società milanese…

Malignamente si potrebbe dire che a lei è andata meglio di tutti. Se dovesse vincere il centrosinistra, lei non avrà gli oneri di Pisapia, ma tutti gli onori di una campagna elettorale vincente in cui si è molto impegnato e da cui molto ha avuto in termini di consensi e di immagine.
No, anch’io avrò oneri. Ho riconosciuto subito a Pisapia la leadership, ovviamente, dopo le primarie, ma ho spinto per l’unità. E il Pd è stato determinante per la sua vittoria. Gli elettori hanno premiato soprattutto il Partito democratico. Tra i movimenti che lo appoggiavano come candidato sindaco, oggi il Pd ha 20 consiglieri su 29… Segno che il nostro messaggio è passato. Non ho fatto in tempo a farlo capire per le primarie, ma dopo sì…

E questo è un rimpianto…
No. Non ho rimpianti, io. In fondo sono in politica solo dal settembre scorso… Certo, le primarie mi hanno consegnato condizioni nuove. Ma le sconfitte non sono mai assolute. Le sconfitte cambiano gli orizzonti. Ma gli orizzonti restano. Ho capito subito che quel percorso meritava di continuare. Non ho mai avuto il dubbio di non andare avanti.

Prima delle primarie si diceva che lei era l’unico candidato in grado di offrire qualche chance al centrosinistra. Mentre Pisapia avrebbe spaventato gli elettori moderati. Cosa c’era di sbagliato in quall’analisi tanto diffusa?
Intanto, Pisapia è stato molto bravo, è un politico di grande intelligenza. E poi, sul dopo primarie, credo di avergli dato una mano anch’io con il ticket. Il fatto che il Pd sia stato così presente lo ha aiutato. Penso che il partito democratico abbia una formidabile inclusività, superiore a quella di tutti gli altri movimenti sia di destra che di sinistra. Raccoglie diversissime componenti generazionali e professionali e tiene insieme due tradizioni politiche un tempo distanti come il cattolicesimo solidale e il comunismo. Questa qualità è stata però a lungo smorzata e inficiata dal fatto che è costituito da alcune componenti che hanno più interesse alla propria sopravvivenza che alla crescita del partito.

Ma in questo partito, il fatto che lei abbia ricevuto quasi tredicimila mila voti non significa anche che gli elettori la chiamano a un ruolo più incisivo, magari a livello nazionale?
No, penso che abbiano espresso il desiderio che io conti nel governo di Milano. Poi vedremo. Se servirà ci proverò. Anche se per ora ho una conoscenza scarsa della macchina del partito. Non sono ancora neppure iscritto. In ogni caso credo che si stia aprendo per me e per il Pd una fase molto divertente…

Ma, in questa fase, in che percentuale si sente politico e in che percentuale architetto?
Faccio mia una battuta di Renato Soru, che qualche giorno fa, scherzando mi ha detto “ormai sono un politico prestato all’imprenditoria”, capovolgendo la frase che si sente ripetere da anni. Ecco, anch’io. Ormai mi sento un politico prestato all’architettura. Comunque, in questi anni, ho fatto politica nella professione, con una visione urbanistica ed ecologica…

Ma non rimpiange, essendo diventato politico, di non poter essere l’architetto della grande moschea di Milano?
Ci mancherebbe pure! Quella è una proposta che avevo fatto io nel mio programma delle primarie e che poi è diventata patrimonio comune del centrosinistra. Non ho certo bisogno né tempo per mettermi a progettare. Come architetto, sto ancora vivendo l’onda lunga delle grandi soddisfazioni professionali avute in questi anni.

Il Pd finora era stato ben lontano dall’avere responsabilità di governo a Milano. Quali sono i punti programmatici che lei ha in mente per la città?
Creazione dei municipi, scuole aperte, apertura della città al mondo, maggiore democrazia partecipativa e deliberativa, ragionamenti seri sulla mobilità che non si limitino alla querelle “ecopass sì, ecopass no”. Tutti temi che sono diventati fattori moltiplicativi per il consenso al Pd.

Sugli assessorati vige il più ferreo riserbo. Ma in quali ambiti si sentirebbe più utile al governo della città?
Credo che Milano abbia fortemente bisogno di una nuova politica culturale, anche valorizzando i mondi che la abitano. È la cosa che so fare meglio e ho numerose relazioni internazionali che potrebbero essere utili per rilanciare la città e gli scambi. Certo, poi, ho competenze nell’urbanistica… E di fronte a noi c’è un evento che è sicuramente la sintesi di cultura e urbanistica, l’Expo…

A proposito, come gestirete la questione se sarete voi a vincere?
Expo è una sfida da riprendere in mano subito, se vinciamo. Abbiamo studiato il documento approvato a Parigi. Sicuramente ci va bene la società newco. Ma dovremo ripensarla per improntarla alla maggiore trasparenza. E, soprattutto, dobbiamo riorientare le idee per il post Expo. Non farne un quartiere morto, di soli uffici. Ma una zona integrata con la città. Io spingo per un mio vecchio cavallo di battaglia: il Salone dell’alimentazione, vero alter ego del Salone del mobile.

E quanto al Pgt?
Dobbiamo procedere immediamente. Intervenire senza perdere tempo. Non bloccheremo nulla, ma lavoreremo su una variante relativa al documento del piano servizi. Bisogna far presto.

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