Ora con Gheddafi si può negoziare. Il ministro della difesa francese Gerard Longuet ha detto ieri che la crisi libica difficilmente sarà risolvibile solo con l’intervento militare e che una soluzione politica sembra stia diventando sempre più auspicabile. «È stato ampiamente dimostrato che non c’é alcuna possibilità con il ricorso alla forza», ha detto Longuet in un’intervista. L’intervento militare in Libia come metodo empirico di dimostrazione teorica?
In realtà che fosse difficile ottenere un regime change in Libia con il solo bombardamento aereo non necessitava un esperimento che è andato a detrimento di parte della popolazione libica, delle casse dei paesi occidentali e della credibilità dell’alleanza atlantica (oltre che degli interessi italiani). Bastava conoscere la storia: quella della Libia e quella militare.
Forse però sottovalutiamo il ragionamento dei francesi. Sono stati loro più di tutti a volere questa guerra, a dettarne i tempi, a pressare Obama e a lavorare per l’autorizzazione al Consiglio di Sicurezza Onu. Il pessimo risultato attuale è certamente frutto di errori, valutazioni approssimative e decisioni estemporanee basate sulla convinzione di una facile caduta di Gheddafi, ma i francesi hanno comunque il paracadute aperto.
Per uscire dall’impasse ecco la soluzione politica allora: un accordo tra Gheddafi e i rivoltosi, di fatto la divisione in due del paese per un periodo di tempo indeterminato. Un’eventualità che potrebbe anche essere accettabile per diversi paesi, a cominciare dall’Egitto, che si avvantaggerebbe di un vicino debole e ricco di risorse come la Cirenaica, che ha contribuito a sorreggere politicamente e militarmente. Le monarchie del Golfo vedrebbero come più probabile l’instaurazione di un regime politicamente loro vicino, magari con il ritorno della monarchia Senussita in Cirenaica, regione nella quale la confraternita gode ancora di larga popolarità, e allo stesso tempo otterrebbero come risultato il forte indebolimento e isolamento a livello internazionale del rivale Gheddafi.
Ma eccoci alla soluzione francese: anche la Francia – le parole del ministro sono esemplificative – potrebbe vedere la divisione come un compromesso percorribile (una «second best option») per evitare il pieno insuccesso dell’operazione militare internazionale che Parigi ha voluto e guidato. Guadagnerebbe sempre e comunque un nuovo partner ricco di risorse, quella Cirenaica (includendo il bacino della Sirte) guidata dal Consiglio nazionale di transizione di Bengasi, che dovrebbe la propria esistenza a papà Sarkò. La Francia si è probabilmente accorta che i rivoltosi difficilmente potranno prendere Tripoli, nonostante i ribelli nelle ultime settimane abbiano ottenuto importanti successi militari. Ci sono voluti tre mesi per Misurata, figuriamoci per la capitale.
Due sarebbero i grandi sconfitti di questa sistemazione: la Nato e l’Italia. La prima vedrebbe la propria credibilità politica e militare messa fortemente a repentaglio. La missione in Libia ha introdotto per l’Alleanza l’aspetto relativo ai margini di autonomia degli alleati europei nell’avviare nuove missioni militari. L’insuccesso sarebbe la pietra tombale sulla loro capacità di sostenerle senza un pieno coinvolgimento americano mentre aprirebbe divisioni o tensioni derivanti da ciò che ne consegue. La Nato in pratica si sarebbe data la zappa sui piedi: dal momento in cui ha cambiato l’obiettivo della missione dall’iniziale “protezione dei civili” al “regime change” (Gheddafi deve andarsene), ogni ora di permanenza a Tripoli di Gheddafi è la testimonianza chiara del proprio fallimento. Per l’Italia il discorso è ancora più semplice. A noi converrebbe più di tutti una caduta di Gheddafi e un prosieguo della guerra, ma opinione pubblica e costi dell’intervento non lo rendono possibile.
Se, ipoteticamente, l’Italia si fosse tenuta fuori dall’intervento (come la Germania) ora raccoglierebbe i dividendi di quella scelta e avrebbe la possibilità di giocare il ruolo di mediatore. Ma quando il nostro governo e il Colle hanno visto che a favore dell’intervento si allineavano Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno scommesso su di loro e sulla caduta di Gheddafi. Forse la scommessa è persa e noi avevamo in gioco più di tutti (dal petrolio, al gas, alla stabilità politica ai confini delle nostre frontiere). Con un’eventuale accordo tra le due parti belligeranti Roma si troverebbe a gestire un duplice difficile rapporto: da una parte la Cirenaica che potrebbe guardare altrove (Parigi) per individuare nuovi partner meno “compromessi”; dall’altra la Tripolitania con l’ex amico Gheddafi “tradito” e isolato internazionalmente, a cui non sarebbe possibile più stringere la mano, figuriamoci baciargliela.
*Ricercatore Ispi, autore di “L’Italia e l’ascesa di Gheddafi – La cacciata degli italiani, le armi e il petrolio (1969-1974)”, 2009, Baldini Castoldi Dalai Editore