«La crisi colpisce tutti. E per giocare da soli, anche in Africa, servono un sacco di soldi. Al momento neanche Parigi ce li ha». Sorride il diplomatico occidentale mentre, a margine di una conversazione sugli ultimi sviluppi africani, analizza con Linkiesta le strane dichiarazioni fatte dal ministro degli Esteri francese Alain Juppé la settimana scorsa a poche ore dall’ammutinamento di un gruppetto di militari trasformatosi poi in uno dei più strani colpi di Stato avvenuti in Africa negli ultimi anni.
Tutto inizia mercoledì 21 marzo quando un drappello di militari di stanza nella guarnigione di Kati, una quindicina di km da Bamako, lascia la propria caserma al termine di un confronto con alcuni rappresentanti del governo (ministro della Difesa incluso) per scendere in strada ed esprimere tutta la propria rabbia e frustrazione nei confronti dell’esecutivo, colpevole, a dir loro, di non fornire ai militari sufficienti soldi e mezzi per affrontare la ribellione separatista in corso da Gennaio nell’estremo nord del Paese.
La protesta di questi soldati, sottoufficiali e ufficiali di rango minore anima e spaventa soprattutto gli abitanti di Bamako che vedono entrare in città un gruppo di uomini in uniforme che spara in aria e grida rabbioso. I soldati si dirigono poi verso la sede della televisione che, non incontrando alcuna resistenza, occupano poco dopo. Qualcuno prosegue per il palazzo della presidenza. Anche qui la resistenza incontrata è praticamente nulla. Il golpe si chiuderà con un bilancio di 1 morto, tre secondo altre fonti, e qualche ferito. Sono le quattro del mattino di giovedì 22 marzo quando una dozzina di uomini in divisa, accalcati uno sull’altro per entrare nell’inquadratura, compare sull’emittente televisiva di stato ‘Ortm’ annunciando (clicca qui per leggere il testo integrale del loro comunicato) dagli schermi televisivi di aver preso il potere, sciolto le istituzioni, sospeso la Costituzione e decretato un coprifuoco. Come spiega il capitano Amadou Sanogo, presentatosi come la guida dell’autodefinitosi ‘Comitato per la restaurazione della democrazia e dello Stato’, il colpo di stato si è reso necessario a causa «dell’incapacità del governo di affrontare la ribellione nel Nord».
È la mattina inoltrata di giovedì quando le agenzie di stampa internazionali si rendono conto che la protesta di un gruppo di militari nella capitale Bamako si è trasformata in un golpe ancora tutto da decifrare (non si avevano, così come si continuano a non avere, notizie sulla sorte del presidente in carica Amadou Toumani Touré) e cominciano a battere le prime reazioni. La Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas/Cedeao) è la prima a farsi sentire, «condannando fermamente» il colpo di Stato e ricordando ai militari la politica di “tolleranza zero” dell’organismo nei confronti di qualsiasi tentativo di presa del potere con mezzi anticostituzionali.
La seconda reazione è quella di Parigi (di cui il Mali era una ex-colonia) che però appare molto meno intollerante della Cedeao. Sulle onde dell’emittente radiofonica Europe 1, infatti, il ministro degli Esteri francese Alain Juppé, stupisce tutti dichiarando che «il ripristino dell’ordine costituzionale passa per l’organizzazione di elezioni da tenersi il prima possibile così che i maliani possano esprimersi».
Le parole di Juppé, che in sostanza chiede ai golpisti di rispettare il calendario elettorale che a fine aprile avrebbe dovuto portare il Mali alle urne, stridono in un mondo, quello diplomatico, dove le parole contano ancora molto e dove i termini usati dal ministro francese sono apparsi a molti quantomeno una “stonatura”. «In casi come questo non si chiede l’organizzazione del voto in tempi rapidi. La prima cosa che si chiede è di ristabilire lo stato di diritto e l’ordine costituito» ha detto all’agenzia di stampa francese Afp un alto ufficiale dell’esercito maliano fedele ad Amadou Toumani Touré, il presidente eletto di cui dal Mercoledì 21 si sono perse le tracce.
Un golpista nel cortile del Palazzo presidenziale
E che le parole di Juppé siano state uno scivolone lo dimostra il fatto che nell’arco di una settimana la Francia si sia sentita in dovere di «condannare il rovesciamento dell’ordine costituzionale con la forza» almeno altre tre volte, l’ultima lunedì sera. La blanda condanna del golpe maliano fatta da Juppé, infatti, era rimasta isolata nelle ore e nei giorni successivi quando, divenuto chiaro che a Bamako si era consumato un colpo di Stato (per quanto molto particolare e ancora tutto da comprendere) la posizione della comunità internazionale, a cominciare da Unione Europea e Stati Uniti, era stata molto più ferma.
Ma soprattutto oltre a dure parole di condanna, Stati Uniti ed Europa avevano deciso di passare all’azione annunciando la sospensione dei programmi di aiuto allo sviluppo verso il Mali, bloccando una delle principali fonti di ingresso per il governo.
Il ministro degli Esteri francese non è però nuovo a scivoloni diplomatici sul Mali. Lo scorso 7 febbraio, mentre nel nord del Mali infuriavano intensi combattimenti tra l’esercito maliano e i ribelli del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla, ribellione a maggioranza Tuareg che rivendica autonomia e indipendenza per la regione dell’Azawad), Juppè in un’audizione al Senato francese disse: «la ribellione tuareg ha ottenuto recentemente degli importanti successi militari a nord del fiume Niger (…) un cessate il fuoco immediato per noi risulta imperativo».
Come ricorda il settimanale francofono di attualità africana, Jeuneafrique, le parole di Juppè e quelle di alcuni ministri francesi hanno «alimentato le tensioni tra il Mali e la Francia». «Bamako sospetta Parigi di aver fatto un accordo con l’Mnla» scrive Jeuneafrique, che, citando un alto ufficiale dell’esercito maliano habitué del Palazzo del Presidente di Bamako, sottolinea: «per noi (governo del Mali, ndr) i ribelli hanno raggiunto un compromesso con la Nato e la Francia, abbandonando Gheddafi in piena crisi libica. L’accordo era che se avessero lasciato il sud della Libia, la Francia li avrebbe aiutati nelle loro rivendicazioni in Mali». Le voci in circolazione nelle stanze della presidenza maliana, la presenza in terra francese di almeno quattro portavoce del Mnla e l’ondata di nazionalismo anti-francese scatenata in Mali dalle parole pronunciate da Juppé di fronte al Senato parigino ai primi di Febbraio sono elementi sufficienti a spiegare perchè a Bamako, così come in altre capitali mondiali, vi sia chi sospetta che la Francia non sia del tutto estranea a quello che sta accadendo in Mali.