MEDOLLA (MO) – Sui capannoni della morte si è detto molto in questi giorni. Costruiti con prefabbricati in un’area fino a poco tempo fa ritenuta non sismica, sono venuti giù come tessere di un domino. «Sono costruiti a incastro», spiega un geometra della zona, che si stava occupando della messa in sicurezza dopo il primo sisma. «Molti pezzi sono solo agganciati… Le travi poggiano sui pilastri senza essere fermate… La situazione è spaventosa, anche dove non c’è stato crollo e da fuori sembra tutto ok… In realtà le colonne portanti dentro sono fuori asse, il peso dei tetti grava su pochi centimetri. Un disastro. Dopo la scossa del 20 maggio si pensava di poter riparare e migliorare la sicurezza delle strutture. L’ultima ha fatto capire che bisogna cambiare totalmente metodo di costruire. Bisogna demolire tutto e rifare con criteri nuovi. Non è possibile recuperare l’esistente. Io ero dentro una delle grandi aziende duramente danneggiate il giorno della seconda scossa. Ha iniziato a venir giù tutto. C’era una gran polvere, non si vedeva più niente, e su in aria avevo gli operai che sistemavano la copertura. Gli è crollato tutto sotto i piedi. Quando la polvere si è diradata li ho visti scendere. Si sono calati con le corde di sicurezza a cui erano rimasti appesi. “Fuori tutti”, ha detto uno di loro “ho bisogno di un caffè”. A noi è andata bene; un mezzo miracolo. Ad altri no. Le aziende che producono il biomedicale hanno bisogno di tempi di reazione brevissimi per non perdere mercato. Dopo la scossa del 20, in una di quelle dove lavoravo io, i capi chiamavano dalla Germania ogni giorno chiedendo tempi certi. Volevano riprendere entro una settimana, massimo. “Tempo, tempo”, dicevano, “Quanto tempo?”. Temo che stavolta i tempi saranno molto più lunghi, e quindi la paura ora è che non si riapra più. Che scelgano di andarsene via, da qualche altra parte. Magari in Croazia». Del resto, qualcuno ci stava pensando già prima e il terremoto potrebbe accelerare la scelta.
Anche alla Bbg di Mirandola, azienda di meccanica di precisione dove sono morti in tre, si era fatto di tutto per ripartire il prima possibile. La reazione al primo sisma era stata coraggiosa, determinata. Sul sito internet ancora campeggia, tragicamente, la scritta «Siamo lieti di comunicare a tutti i clienti e fornitori che la nostra azienda potrà ricominciare la propria normale attività lavorativa da lunedì 28 maggio 2012. Grazie infinite per il supporto avuto da chi ci è stato vicino in questi momenti». Il giorno dopo il secondo tragico sisma e il crollo definitivo.
La Bbg di Mirandola, nel crollo di questa azienda di meccanica di precisione sono morti in tre
Crollo parziale alla Pikotronic di San Giacomo Roncole, Mirandola
Come ci aveva raccontato l’imprenditore Andrea Meschieri (leggi: «Tutti pensano alle chiese. E i nostri macchinari?») l’area industriale dove sorge la sua azienda è stata edificata dalla Acea costruzioni. Acea costruzioni è leader indiscussa dell’edilizia nella zona terremotata (altre imprese importanti del mirandolese sono Coinvest e la Fratelli Baraldi). Sempre di Acea costruzioni sono il palazzo della Unipol a Mirandola lesionato, il restauro del castello dei Pico che ha subito gravemente il sisma (eccoli nella nostra fotogallery) e, soprattutto il nuovo edificio di pregio nella piazza centrale di Cavezzo, completamente collassato.
Il suo abbattimento definitivo nella notte ha fatto parlare di mistero, perché renderebbe impossibile il lavoro della procura in eventuali indagini. Luca Zaccarelli, dirigente della Acea è tranchant: «Non mi sento attaccato. Sono sereno. Il clima è sereno. Siamo qua e non ci nascondiamo. Misteri non ce ne sono. La verità è una. Lei vede misteri?». E aggiunge: «Io non sono e non mi sento responsabile dei crolli. Mica ho costruito tutto io. La Menù, che è andata giù, per esempio non l’ho costruita io. E parlo con estremo rammarico, perché siamo amici da sempre con la famiglia Bonomi. Siamo molto legati all’imprenditoria locale, senza di loro non esisteremmo. Ci siamo sempre dati da fare perché le grandi fabbriche ci dessero da mangiare. In particolare il biomedicale. Parlare di noi in termini di sole responsabilità non è corretto. Non abbiamo niente da nascondere. I nostri progetti sono in regola. Molti nostri edifici non sono crollati. Non ci sono state vittime nei nostri edifici, perché anche il signore in via di Mezzo non era nostro cliente. E questo non per dire che ci sono vittime di serie A e di sertie B. Il dolore è lo stesso anche se sono morti in edifici costruiti da altri». Le domande sarebbero molte altre, perché i veleni in paese non mancano nel dopo terremoto, ma Zaccarelli taglia corto: «La devo salutare. Ho gli operai da mandare a casa. Ho anch’io le mie priorità».
Di sicuro aziende come la Acea (che dà lavoro, considerando anche la Cis di Stefano Zaccarelli, a 130/140 persone) hanno contribuito a creare quel fenomeno sociale-edilizio della villetta fuori paese, dello svuotamento italiano dei centri urbani (ora popolati prevalentemente da stranieri; tutti finiti in tenda), dell’invenduto record dopo la crisi che ha messo in ginocchio il settore delle costruzioni. Una crisi confermata in pieno da Stefano Belfiori, che a Medolla e Cavezzo è segretario della Lapam-Confartigianato: «C’è stato un periodo di euforia che ha saturato il mercato. In cui le banche finanziavano tutto. Ora molte aziende sono in amministrazione controllata. L’unico aspetto positivo del terremoto potrebbe essere la ricostruzione. Credo che ci sarà molto lavoro per la richiesta di tecnologie antisismiche. Pensi che qui a Medolla c’è un ingegegnere strutturista. La sua casa se l’era fatta con quei criteri là. Io lo prendevo in giro, gli dicevo “ma quanto acciaio metti? Lascia un po’ di spazio per il cemento”, ma adesso non ha nemmeno una crepetta. Le tecnologie ci sono. Speriamo che l’edilizia esca da questo periodo di forte stasi. Qui è stato senz’altro il settore più colpito dalla crisi. Perché sia il biomedicale che la meccanica di precisione avevano retto. Quando c’è l’eccellenza si resiste. Pensi che qui erano andati in crisi i laboratori cinesi che facevano meccanica non di precisione, subendo la concorrenza del loro Paese d’origine. Il problema adesso è il tempo. Bisogna ricostruite bene ma molto in fretta o rischiamo la desertificazione del nostro tessuto economico».
Un deserto intanto c’è già. C’è quello dei centri urbani chiusi nelle zone rosse, dove i tempi della ricostruzione si annunciano lunghi. E c’è quello della campagna, con un patrimonio scomparso. È quello dei casolari, delle case coloniche, dei barchessoni, tipiche costruzioni a forma di ombrello. «Non avevamo nemmeno finito un censimento», spiega Patrizia Dolores Nardini, vicepresidente di Donna Impresa Modena. «Volevamo valorizzare queste bellezze architettoniche. Quel rosso dei mattoni è un colore che perderemo per sempre. Non le ricostruirà nessuno. Erano spesso semiabbandonate o usate come rimesse agricole. Non riesco a immaginare la campagna senza le vecchie cascine. Invece sono crollate tutte. Il terremoto ci ha rubato anche il nostro panorama».
Nelle foto sopra: cascine distrutte dal sisma nelle campagne di Medolla
Una madonnina lungo una strada tra i campi di Medolla, rovinata dalle scosse