Investimenti e accesso al credito, l’analisi dell’Istat
L’elevata incertezza che segna l’attuale fase ciclica e la crescita della capacità produttiva inutilizzata costituiscono il principale fattore di freno alle decisioni di investimento delle imprese. Inoltre, l’attività di investimento ha risentito delle crescenti difficoltà incontrate dalle imprese nell’accesso al credito bancario, con effetti di razionamento che hanno colpito soprattutto le imprese di piccola e media dimensione. Queste difficoltà sono continuate anche nei primi mesi del 2012: un allentamento delle tensioni creditizie è stato, invece, registrato per le imprese medie e grandi. Nel primo trimestre dell’anno in corso, indicazioni di un miglioramento delle condizioni per investire sembrano delinearsi nel settore manifatturiero, mentre restano difficili le condizioni per gli investimenti in costruzioni. Al parziale recupero osservato nel primo trimestre 2012 potrebbero avere contribuito gli interventi della Bce volti ad aumentare la liquidità.
Come documentato da una indagine della Commissione europea svolta su un campione di 15.000 imprese di 38 Paesi, già nel primo semestre 2011 l’aumento del fabbisogno di finanziamento (soprattutto sotto forma di scoperto di conto corrente e di apertura di linee credito) appariva più elevato per le piccole e medie imprese (Pmi) italiane rispetto a quelle degli altri paesi dell’Unione europea. L’Italia, inoltre, presentava la frequenza più elevata di imprese almeno parzialmente “razionate”. Le indagini mensili sul clima di fiducia delle imprese condotte dall’Istat (che da marzo 2008 contengono una sezione ad hoc sulle condizioni di accesso al credito) mostrano che la percentuale di imprese che avvertono un inasprimento delle condizioni di finanziamento, in crescita pressoché continua dalla metà del 2010, sul finire del 2011 si è riportata in tutti i settori su livelli compresi tra il 35% e il 45%, valori molto elevati e paragonabili a quelli osservati nelle fasi più severe della crisi dell’autunno 2008. Anche le percentuali di razionamento, sebbene in misura inferiore, sono aumentate: a marzo 2012 risulta non avere ottenuto il finanziamento richiesto il 5% delle imprese manifatturiere e il 2,7% delle imprese dei servizi, valori che, sebbene in crescita, rimangono comunque più bassi di quelli registrati nei primi mesi del 2009 (rispettivamente 8% e 7%).
Permane poi un divario a sfavore delle imprese di piccola dimensione: in media, lungo l’intero arco temporale considerato, la percentuale di imprese razionate nella classe dimensionale inferiore (1-49 addetti) è più elevata, rispetto alla media del comparto, di 13 punti percentuali nel caso della manifattura e di 11 punti nei servizi. L’irrigidimento dell’offerta di credito e l’aumento della percentuale delle imprese razionate si accompagnano a una generale diminuzione della quota di imprese “solide” all’interno del campione. In un contesto che vede le imprese appartenenti ai settori dei servizi mediamente più solide di quelle manifatturiere, la quota di aziende che dichiara di avere una soddisfacente condizione economica e produttiva è diminuita nella manifattura e nei servizi, rispettivamente, ai livelli registrati nei primi mesi del 2010 e nel marzo 2009.
Elaborazioni relative al periodo 2008-2012 volte a stimare la probabilità di non ottenere il credito richiesto evidenziano una situazione più difficile per le imprese manifatturiere. Per queste, infatti, le probabilità stimate di razionamento sono, lungo tutto il periodo, mediamente del 60% superiori a quella delle imprese dei servizi (40% per le sole imprese solide). Tale differenza tende ad assottigliarsi nelle fasi di tensione più marcata: alla fine del 2011, in soli due mesi le probabilità stimate di razionamento sono tornate sui livelli dell’ultimo trimestre 2009 per le imprese manifatturiere e ai livelli della prima metà del 2009 per quelle dei servizi, anche per le imprese economicamente solide.
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